di Callegaro Cristian

La domanda

Devo aprire le posizioni per una farmacia veterinaria autorizzata anche alla vendita di farmaci anche senza prescrizione (parafarmacia), devo assumere una farmacista iscritta all'ordine che per lo più da sola gestirà le vendite nella farmacia, mi chiedevo se in alternativa al CCNL farmacie private con inquadramento al 1 livello farmacista collaboratore con contratto di apprendistato professionalizzante (credo che questo sia l'inquadramento più corretto), fosse possibile assumerla anche con un ccnl più "economico" per l'azienda, con un inquadramento come addetta vendite....??

Si conferma innanzitutto che l’attuale c.c.n.l. “per i dipendenti da farmacie private” consente l’assunzione attraverso contratto di apprendistato anche per il farmacista collaboratore. Per quanto riguarda la seconda parte del quesito, si ritiene che il contratto collettivo più aderente alla fattispecie proposta sia proprio quello delle Farmacie Private. In ogni caso il lettore potrà operare un’analisi più vasta tenendo conto degli elementi sotto descritti. Il contratto collettivo ha forza di legge tra le parti e produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti collettive direttamente stipulanti, nonché dei soggetti individuali appartenenti alle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro che lo hanno stipulato. Inoltre, il contratto collettivo si applica anche nei confronti di coloro che, pur non iscritti alle associazioni sindacali stipulanti, implicitamente (ad esempio, per comportamento conformativo) o esplicitamente (ad esempio, perché nella lettera di assunzione viene richiamato) aderiscano allo stesso. Ogni datore di lavoro può scegliere liberamente (quindi indipendentemente dalla tipologia di attività svolta) a quale associazione di categoria iscriversi; una volta iscritto, deve obbligatoriamente applicare il contratto collettivo sottoscritto dall’associazione cui ha aderito. In tal caso il contratto collettivo si applica a tutti i dipendenti, a prescindere dalla mansione concretamente svolta dagli stessi. Il datore di lavoro che non è invece iscritto ad un’associazione sindacale non è obbligato ad applicare un contratto collettivo. Al riguardo può decidere di applicare un contratto collettivo in modo esplicito, oppure implicitamente, applicando spontaneamente e costantemente un determinato contratto o almeno le clausole dello stesso più rilevanti e significative. In caso di mancata applicazione di un contratto collettivo, egli è comunque tenuto da fonti costituzionali e legislative a rispettare alcune garanzie. In risposta al caso proposto dal lettore occorre innanzitutto verificare se la società sia iscritta o meno ad un’associazione di categoria: se iscritta, la stessa sarà tenuta ad applicare il c.c.n.l. sottoscritto dall’associazione cui aderisce. In caso contrario, avrà libertà di applicazione, indipendentemente dall’attività svolta. Il datore di lavoro potrà comunque - secondo quanto previsto dall’art. 2070 del codice civile - applicare un contratto collettivo sulla base dell’attività esercitata o comunque secondo il campo di applicazione indicato dalla contrattazione collettiva. Nell’ipotesi in cui non sia iscritto ad un’associazione sindacale, il datore di lavoro non avrà comunque l’obbligo di applicare un contratto collettivo. In tali casi, tuttavia, egli è comunque tenuto da fonti costituzionali e legislative a rispettare alcune garanzie. Tra queste vi è il trattamento retributivo, che secondo l’articolo 36 della Costituzione deve essere “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Nell’ipotesi che il trattamento economico non fosse rispettoso del principio costituzionale della sufficienza, al giudice spetterà l’individuazione puntuale della retribuzione da applicare, facendo riferimento al contratto collettivo più “aderente” oppure anche senza richiamare alcun contratto collettivo. Neanche riguardo quest’ultima funzione, infatti, i parametri contrattuali sono vincolanti, potendo, la determinazione giudiziale, anche discostarsi da quella collettiva e fondarsi su criteri diversi liberamente apprezzati dal giudice: ad esempio sulla particolare natura del lavoro svolto, se non, come previsto da un orientamento più recente, su altri fattori, quali le condizioni ambientali del mercato, e addirittura sulla capacità economica del datore di lavoro. Altra considerazione: si evidenza come nella scelta dell’eventuale strumento contrattuale che dovrà regolare i rapporti di lavoro la parte datoriale potrà tenere in considerazione anche un altro aspetto rilevante: la rappresentatività delle parti stipulanti il contratto collettivo. L'applicazione, infatti, di un contratto collettivo sottoscritto da organizzazioni sindacali che non sono comparativamente maggiormente rappresentative potrebbe innescare tutta una serie di ricadute negative sia nei confronti dei dipendenti sia nei confronti dello stesso datore di lavoro. Un contratto del genere, infatti, potrebbe prevedere trattamenti retributivi inferiori a quelli dei contratti collettivi stipulati tra le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ciò comporterebbe una serie di ricadute negative, sia riguardo la tutela dei lavoratori, sia sull'economia del paese (minori introiti contributivi). Nel tempo, la volontà di combattere tale fenomeno ha condotto gli organi pubblici a ribadire che la legislazione che demanda la regolamentazione di istituti alla contrattazione collettiva fa riferimento unicamente a quella stipulata tra le organizzazioni sindacali comparativamente maggiormente rappresentative, il rispetto della quale, in ogni caso, è condizione per l’applicazione dei benefici contributivi da parte dell’Inps. Nella sua attenta valutazione, il lettore potrà tener conto delle considerazioni sopra illustrate, anche in relazione ad elementi non direttamente indicati nel quesito.

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