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Prestiti garantiti Sace: intesa sindacale su licenziamenti, contratti e appalti

di Daniele Colombo

Non solo licenziamenti individuali e collettivi ma anche trasferimenti d’azienda, contratti a termine, impiego di lavoratori somministrati. Sono diversi i capitoli che potrebbero rientrare nel vincolo degli accordi sindacali previsto dal Dl 23/2020, appena convertito in legge, per le imprese colpite dal Covid-19 che volessero accedere alla garanzia della Sace Spa per prestiti e finanziamenti. La garanzia potrà essere concessa alla condizione - tra le altre - che l’impresa assuma l’impegno a «gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali». Lo prevede l’articolo 1 comma 2 lettera l) del cosiddetto decreto legge “Liquidità”.

Ma che cosa comporta l’assunzione di questo impegno? E qual è la sua durata, visto che la garanzia Sace copre finanziamenti fino a sei anni?

La norma non è molto chiara e si caratterizza per essere particolarmente ampia nella sua portata interpretativa.

In primo luogo, l’impegno a «garantire i livelli occupazioni attraverso accordi sindacali» pare riguardare il futuro. Ai fini della concessione della garanzia, quindi, non sembra necessario aver stipulato un accordo sindacale vero e proprio, limitandosi la norma a richiedere un impegno.

Non è chiaro, poi, quali organizzazioni sindacali debbano essere coinvolte nella cogestione, limitandosi la norma a chiedere la stipula di un accordo sindacale. Le organizzaioni sindacali nazionali, territoriali oppure le rappresentanze sindacali aziendali? Dalla formulazione della norma (gestione dei livelli occupazionali da parte dell’impresa) pare che la legittimazione sia attribuita alle Rsu-Rsa.

L’articolo 1 comma 2 lettera l), inoltre, lascia aperta la possibilità della conclusione di accordi con qualsiasi organizzazione sindacale, anche non comparativamente più rappresentativa.

La “gestione dei livelli occupazionali” attraverso accordi sindacali, ancora, dovrebbe riguardare i soli aumenti e diminuzioni di personale. Il livello infatti dovrebbe riguardare l’aspetto quantitativo della forza lavoro. In questo senso, ad esempio, le procedure di licenziamento collettivo dovranno necessariamente concludersi con un accordo sindacale, a differenza di quanto previsto dalla legge 223/1991 che, invece, nel prevedere un coinvolgimento del sindacato nella gestione degli esuberi, stabilisce precisi limiti temporali entro i quali le parti sociali e il datore di lavoro possono trovare un accordo sindacale. Qualora nei termini previsti l’accordo non sia raggiunto, il datore di lavoro è libero di procedere con i recessi nel rispetto dei criteri di scelta previsti dall’articolo 5 della legge 223/1991. Con il vincolo previsto dal Dl 23/2020, invece, l’accordo diventa necessario.

Nello stesso senso, anche i licenziamenti individuali (specie se di carattere oggettivo) dovrebbero rientrare nella «gestione dei livelli occupazionali», con la necessità di trovare un accordo preliminare con il sindacato per poter legittimamente intimare il recesso individuale.

Allo stesso modo, si deve ritenere che la norma possa avere un impatto anche nelle ipotesi di trasferimento di azienda (o di un suo ramo). Anche in questo caso, si deve ritenere che il datore di lavoro e le parti sociali debbano sottoscrivere un accordo sindacale a differenza di quanto accade ordinariamente ove, i datori di lavoro che abbiano più di 15 dipendenti, possono procedere con la cessione dell’azienda (o di un suo ramo) anche se la procedura di informazione – consultazione sindacale (previamente attivata dalle organizzazioni sindacali), non si conclude con un accordo entro dieci giorni dall’inizio dell'esame congiunto.

Anche il cambio di appalto potrebbe a rigore ricadere nella previsione dell’articolo 1, comma 2 del Dl 23/2020, incidendo notevolmente sui livelli occupazionali specie nelle aziende che applicano contratti collettivi che non prevedono la cosiddetta “clausola sociale” e/o obblighi di consultazione sindacale preventiva in caso di cambio di appalto.

Nella nozione dovrebbero rientrare anche gli incrementi occupazionali che l’impresa vorrebbe attuare, come l’assunzione di nuovi lavoratori con contratto a termine, l’impiego di lavoratori in somministrazione o, ancora, la stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato. Tenuto conto degli impatti che la nuova norma potrebbe avere, sarebbe opportuno rivedere l’articolo in modo da chiarirne al meglio i contorni specifici e con lo scopo di evitare gli inutili contenziosi e problemi sindacali che potrebbero derivarne.

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