Contenzioso

Il periodo di comporto include i giorni festivi

di Giampiero Falasca

Nel calcolo del periodo di comporto vanno considerati anche i giorni festivi, se in quelli antecedenti o successivi il lavoratore è rimasto in malattia, in quanto si presume che la situazione clinica sia rimasta inalterata. Questa la conclusione cui giunge la Corte di cassazione con la sentenza 20106/2014, depositata ieri.

Un'azienda licenziava un proprio dipendente per superamento del periodo di comporto (quel periodo, la cui durata massima è fissata dai contratti collettivi, durante il quale il lavoratore assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro). Il lavoratore impugnava sotto diversi profili il licenziamento: per quanto attiene al calcolo del periodo di comporto, veniva sostenuto il mancato raggiungimento del tetto massimo fissato dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile al rapporto.

A sostegno di tale argomentazione il lavoratore produceva le buste paga, evidenziando che la somma dei giorni di assenza dal lavoro risultanti da queste era inferiore al limite massimo. Questa ricostruzione viene rigettata dalla Cassazione che – ribadendo un principio già affermato con precedenti decisioni – evidenzia che nel calcolo dei giorni di assenza utili a determinare il periodo di comporto devono essere conteggiati anche quelli non lavorativi, se questi ricadono all'interno di periodi di assenza di malattia. Per questi giorni, infatti, opera una presunzione di continuità della malattia, che può essere superata solo mediante una prova specifica.

Con una censura diversa, e subordinata rispetto a quella appena vista, il lavoratore riteneva violati i principi di correttezza e buona fede da parte dell'azienda per la mancata rappresentazione, all'interno delle buste paga, dei giorni di assenza utili al raggiungimento del comporto. In altri termini, il lavoratore riteneva che l'eventuale errore nel computo del periodo di comporto (cioè quello relativo al mancato calcolo dei giorni festivi) fosse da addebitare all'azienda, che non avrebbe indicato nelle buste paga il numero dei giorni non lavorativi di assenza (ragionamento simile veniva svolto rispetto alla scelta dell'azienda di pagare la retribuzione piena fino all'ultimo giorno di lavoro, invece di ridurla, come consentito dal Ccnl all'approssimarsi della scadenza del comporto).

La Corte rigetta anche questa doglianza, rilevando che non è stata dimostrata l'esistenza di una norma di legge o di contratto collettivo da cui scaturirebbero obblighi di tale natura.

La sentenza 20106 della Cassazione

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