Contenzioso

Sanzioni amministrative in materia di lavoro, solidarietà, prescrizione e contestazione

di Silvano Imbriaci

La sentenza della sezione lavoro della Corte di cassazione 6 settembre 2018, numero 21706, consente di fare il punto su alcune questioni ricorrenti in materia di sanzioni amministrative per violazione di norme in materia di lavoro e legislazione sociale.

a) Solidarietà: la sezione lavoro ribadisce l'orientamento, ormai consolidato dopo l'intervento delle Sezioni Unite dello scorso anno (22082/2017), circa la naturale autonomia tra l'obbligazione del corresponsabile solidale e quella dell'obbligato in via principale. Per questo, in presenza di una causa di estinzione dell'obbligazione in via principale, secondo la Cassazione, l'obbligato in solido che abbia pagato la sanzione resta titolare di un autonomo diritto di regresso per l'intero verso l'autore della violazione, e non può vedersi eccepita l'estinzione dell'obbligo nei confronti dell'amministrazione. In base a tale principio, l'Inl ha dettato alcune importanti indicazioni agli uffici territoriali (si veda la nota Inl 20 novembre 2017, numero 0010174) riepilogative dei casi in cui l'obbligazione solidale generalmente non subisce effetti rispetto alle vicende dell'obbligazione principale; fra tutti, il mancato perfezionamento della notifica del verbale o dell'ordinanza ingiunzione al trasgressore, la mancata o erronea identificazione del trasgressore, l'impugnazione dell'ingiunzione esclusivamente da parte di uno degli obbligati con accoglimento del ricorso (con necessità di valutare se l'annullamento dell'ordinanza è avvenuto per motivi di merito o comunque attinenti al fatto costitutivo).

b) Termine per la riscossione delle sanzioni: la sentenza riafferma la natura prescrizionale e non decadenziale del termine di cui all'articolo 28 della legge numero 689/1981 (Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione). La doglianza si riferiva al fatto che la mancanza di un termine decadenziale entro il quale portare a compimento il procedimento sanzionatorio, avrebbe comportato una violazione a livello costituzionale dei principi a tutela del diritto di difesa del trasgressore, nonché in materia di buon andamento e imparzialità dell'attività amministrativa. La sezione Lavoro precisa che il testo normativo che disciplina gli illeciti e le sanzioni amministrative non prevede alcun termine di decadenza per l'amministrazione e che l'ordinanza ingiunzione, quale provvedimento finale del procedimento sanzionatorio, può essere validamente emessa nel termine di cinque anni dal giorno in cui è commessa la violazione, anche se la norma, in realtà, fa riferimento ad un termine per la riscossione delle relative somme dovute. Allo stato, dunque, in ottica costituzionale, non vi sono lacune derivanti dalla mancata prospettazione di un termine decadenziale per l'esercizio del diritto, in quanto le esigenze di certezza sono salvaguardate dal riferimento normativo espresso, per quanto riguarda gli atti interruttivi del termine prescrizionale, a quelli individuati nel codice civile.

c) L'identità tra il fatto contestato nell'ordinanza ingiunzione e l'illecito originariamente contestato: in questo caso la questione è assai delicata, in quanto involge direttamente il precetto di cui all'articolo 14 della legge 689, sulla necessaria contestazione e notificazione di fatti nuovi e diversi. La correlazione tra contestazione e ingiunzione viene messa in crisi nell'ipotesi in cui si debba verificare l'identità tra gli elementi costituitivi e tra le circostanze rilevanti oggetto di originaria contestazione e di successiva ingiunzione. Ad esempio, come nel caso di specie, quando l'ordinanza ingiunzione abbia sanzionato un numero inferiore di violazioni, ritenendo insufficienti gli elementi raccolti rispetto alla gamma delle iniziali contestazioni. In questo caso, sottolinea la Corte, non può parlarsi di fatto nuovo o diverso. Si verifica infatti una mera riduzione della contestazione originaria e non una nuova violazione, non rilevando il fatto che la condotta complessiva risulti meno grave, complessivamente, sotto il profilo soggettivo e l'importo della sanzione sia, ovviamente, inferiore a quella quantificata nel verbale di contestazione. Anzi, le procedure che consentono una riduzione del pagamento in presenza delle condizioni legittimanti sono generalmente incentivate a livello legislativo e amministrativo, rispondendo pienamente ai principi costituzionali di buon andamento e di correttezza nell'azione amministrativa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©