Contenzioso

La pensione di reversibilità non sostituisce il risarcimento

di Silvano Imbriaci

L'ordinanza 10 settembre 2019, numero 22530 della terza sezione civile della Cassazione fornisce una chiara applicazione dei principi espressi dalle sezioni unite (sentenza 22 maggio 2018 numero 12564), su una questione che, sia pur prettamente civilistica (entità del risarcimento da illecito e compensatio lucri cum danno), investe anche problemi e questioni appartenenti alla sfera della sicurezza sociale. Si tratta, infatti, di verificare se, nell'ambito del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, dall'ammontare del risarcimento debba essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto.

Per poter dare una risposta adeguata a tale quesito, è necessario interrogarsi sulla effettiva natura di questa prestazione, connotata da requisiti particolari (a cavallo tra previdenza ed assistenza), e quindi sulla sua capacità a compensare i danni indiretti subiti dai superstiti a causa della morte del loro congiunto.

Il caso, infatti, riguarda la condanna di pagamento di somme a titolo di risarcimento danni a favore degli eredi del dipendente deceduto, a carico dei soggetti ritenuti responsabili del decesso sul luogo di lavoro (in particolare il medico di servizio e il datore di lavoro). Il risarcimento, in fase di merito, era stato limitato ai soli danni non patrimoniali, atteso l'integrale assorbimento degli eventuali pregiudizi di natura patrimoniale dall'avvenuta liquidazione della pensione di reversibilità derivante dal decesso dell'assicurato. In altre parole, era stata seguita, nelle fasi precedenti, la tesi della natura indennitaria del trattamento di reversibilità, in funzione di ristoro dei beneficiari della situazione di disagio economico derivante dalla scomparsa del lavoratore attivo e in accordo con un'interpretazione neutra e un po' schematica dell'articolo 1223 del codice civile (il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno in quanto conseguenza immediata e diretta dell'evento).

La tesi opposta, accolta dalle sezioni unite e seguita anche dall'ordinanza 22530, muove invece da una diversa concezione della pensione ai superstiti. E' infatti una prestazione che costituisce una forma di protezione sociale per l'evento morte, generatore di una condizione di bisogno per i familiari superstiti.

L'erogazione della pensione di reversibilità non ha lo scopo di rimuovere le conseguenze dannose prodotte dall'evento morte sul patrimonio del danneggiato a causa dell'illecito di un terzo, ma è come se costituisse l'espressione di una sorta di patto tra lavoratore e ordinamento previdenziale: l'aver dirottato una parte del proprio reddito al finanziamento della previdenza fonda la promessa che l'ordinamento, nel momento in cui sarà cessata la vita dell'assicurato, provvederà a tutelare la continuità del sostentamento assicurato in vita agli eredi.

La logica di quest'istituto sfugge quindi a qualsiasi connotazione indennitaria: si tratta di una vera prestazione, che fonda il proprio titolo sul versamento di contribuzione pregressa e su requisiti specifici di legge e che non è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma semplicemente al verificarsi delle condizioni di legge. I requisiti e le condizioni che permettono l'accesso alla prestazione sono del tutto indipendenti dalle vicende che hanno determinato l'evento morte, che l'ordinamento richiede ex se come requisito (ovviamente) imprescindibile per poter erogare il trattamento, assieme alle altre condizioni.

L'ordinamento previdenziale non si interessa delle cause che conducono alla morte, né delle responsabilità che eventualmente vi si connettono. E' quindi dubitabile che si possa parlare anche di una natura lucrativa di tale pensione, in quanto l'erogazione economica segue a un sacrificio affrontato dal lavoratore nel corso dell'intera vita lavorativa, consistente nell'onere contributivo. Da un punto di vista patrimoniale, non vi è dunque alcun gratuito vantaggio derivante dal decesso del lavoratore, tale da poter compensare il danno risarcibile imputabile al responsabile del decesso.

Come è facile vedere, la questione involge anche il tema rilevantissimo della funzione generale del sistema di welfare, la cui ragione giustificatrice non sta nell'approntare un ristoro economico matematico ai soggetti in presenza di eventi rischiosi, quanto nel garantire una protezione sociale in funzione solidaristica e in esecuzione di un patto tra lavoratore e ordinamento, secondo le indicazioni e le scelte di fondo che hanno orientato nella nostra Costituzione il complessivo sistema previdenziale e assistenziale vigente.

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