Contenzioso

Quando si configura il mobbing lavorativo

di Valeria Zeppilli

Il mobbing lavorativo si configura al ricorrere di precisi requisiti, che sostanzialmente denotano la sussistenza dell'elemento oggettivo, rappresentato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e dell'elemento soggettivo, rappresentato dalle sue intenzioni persecutorie, e che sono stati ribaditi nei giorni scorsi dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, 11 dicembre 2019, n. 32381).

Innanzitutto è necessario che il datore di lavoro o un suo preposto o un altro dipendente sottoposto al suo potere direttivo ponga in essere contro la vittima una serie di comportamenti persecutori con intento vessatorio. Essi devono essere sistematici e reiterati nel tempo e possono essere sia illeciti, sia, se considerati singolarmente, leciti.

In secondo luogo, affinché si configuri il mobbing lavorativo, deve esserci una lesione della salute, della personalità o della dignità del dipendente e tale lesione deve essere connessa eziologicamente con le condotte vessatorie.

Infine, i comportamenti lesivi posti in essere dal datore di lavoro (o dal suo preposto o dal suo dipendente) devono essere tutti unificati da un intento persecutorio.
Tale ultimo aspetto è fondamentale e rimarcato dalla stessa Corte di cassazione, che ha posto in evidenza come sia proprio l'intento persecutorio (che è il lavoratore mobbizzato a dover dimostrare) a rappresentare l'elemento qualificante del mobbing lavorativo e non la legittimità o l'illegittimità dei singoli atti, che da sola non rileva ai fini della configurabilità dell'illecito.

Se quindi, da un lato, in presenza di tutti i predetti requisiti anche la reiterazione di comportamenti di per sé leciti può integrare un'ipotesi di mobbing, dall'altro lato questa non necessariamente si configura se il datore di lavoro pone in essere più comportamenti singolarmente illegittimi ma manca la loro convergenza in un fine ultimo vessatorio.

Il mobbing, infatti, richiede un elemento psicologico ulteriore, che è il cosiddetto animus nocendi, il quale non solo rende vietati dei comportamenti che altrimenti sarebbero leciti, ma aggrava il significato giuridico e sociale di comportamenti che già sono vietati e altrimenti di per sé sanzionati dal nostro ordinamento.
Vi deve essere, insomma, un maggior danno e un intento di degrado che con il singolo atto compiuto dal lavoratore non si riuscirebbe a raggiungere.

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