Contenzioso

Sì al recesso per gravi motivi se non si trova un accordo

di Augusto Cirla

I commercianti, gli imprenditori e gli artigiani costretti a chiudere dai provvedimenti governativi e quindi in difficoltà a pagare il canone possono decidere di recedere dal contratto per gravi motivi. È una possibilità estrema, da utilizzare se le trattative con il locatore per il rinvio o la riduzione del canone non vanno a buon fine.

Il conduttore di un immobile a uso diverso dall’abitazione ha infatti la facoltà di recedere dal contratto in ogni momento durante il corso della locazione in presenza di gravi motivi. Tale facoltà gli spetta anche se non è prevista nel contratto di locazione, che potrebbe anche escluderla. Per esercitarla occorre inviare al locatore, almeno sei mesi prima della data alla quale il recesso dovrà avere effetto, un preavviso che indichi i gravi motivi, a pena di validità del recesso stesso (articolo 27 legge 392/1978).

I gravi motivi devono essere determinati da avvenimenti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili alla sottoscrizione del contratto e dunque sopravvenuti, al punto da rendere estremamente difficoltosa la prosecuzione del contratto. I fatti devono presentare una connotazione oggettiva, non possono cioè dipendere da una unilaterale valutazione del conduttore circa la convenienza o meno di continuare il rapporto. In altri termini, il requisito dell’estraneità implica che il comportamento deve essere consequenziale a fattori obiettivi e peraltro non volontari (Cassazione, 5803/2019).

Così, il recesso anticipato del conduttore non può essere giustificato da fatti preesistenti alla conclusione del contratto e già da lui al tempo conosciuti o comunque conoscibili.

Le interpretazioni da parte dei giudici dei “gravi motivi” non sono state univoche: ad esempio, è stato configurato grave motivo l’eccessiva onerosità nel proseguimento della locazione in relazione alla situazione economica complessiva del conduttore (Cassazione, 23639/2019) o all’eventuale necessità di quest’ultimo di modificare la propria struttura aziendale (Cassazione, 6090/2006), mentre altrettanto non è stato riconosciuto a un conduttore che, per motivi economici, aveva necessità di trasformare la propria attività d’impresa per mera convenienza (Cassazione, 5328/2007).

La legge tutela dunque l’ipotesi in cui interviene, da un lato, uno squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto e, dall’altro, la riconducibilità di tale squilibrio a eventi straordinari e imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. Il Covid-19 può rappresentare un evento di forza maggiore in presenza del quale, in quanto imprevedibile e inevitabile, può trovare giustificazione e accoglimento la facoltà concessa al conduttore di recedere dal contratto di locazione. Si può infatti addurre, quale grave motivo, il carattere di straordinarietà oggettiva del fenomeno, tale da rendere notevolmente gravosa la prosecuzione del contratto: sempre che questo sia stato stipulato prima dei provvedimenti governativi di “serrata”.

Soccorre peraltro a sostegno di simile ipotesi, seppur con caratteristiche diverse, l’articolo 1256 del Codice civile, secondo cui l’obbligazione si estingue quando, per motivi non imputabili al debitore, la prestazione diventa impossibile. Così, se l’attività del conduttore non è più in grado di riprendersi al temine della pandemia, diventa per lui impossibile sostenere i canoni e quindi legittimamente può recede dal contratto o risolverlo.

Al locatore interessato a mantenere il contratto, resta in ogni caso l’alternativa ex articolo 1467 del Codice : offrire al conduttore un’equa modifica delle condizioni del contratto, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza e buona fede.

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