Contenzioso

Prestazioni di invalidità civile, decorrenza termini di decadenza

di Silvano Imbriaci

L'ordinanza della Sezione Lavoro della Cassazione 24 marzo 2020, n. 7494 affronta due questioni di un certo rilievo nell'ambito delle controversie in materia di invalidità civile, in un caso di reiezione della domanda giudiziale volta al riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile per ciechi parziali ventesimisti, negata dall'Inps per essere l'istante non in possesso della carta di soggiorno.

Le questioni affrontate dalla cassazione però non riguardano lo status del richiedente (dopo Corte Cost. n. 22/2015 non è infatti rilevante, ai fini dell'accesso alla prestazione, il mancato possesso della carta di soggiorno), quanto l'individuazione della data di decorrenza del termine decadenziale per proporre ricorso, nonché la rilevanza, ai fini soprattutto della buona fede del ricorrente, delle indicazioni sui termini per l'impugnazione contenuta nel provvedimento di reiezione.

Quanto al primo tema, è noto che l'articolo 42, comma 3, del Dl n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, ha disposto - con decorrenza 31 dicembre 2004 - l’inapplicabilità alle prestazioni di invalidità civile delle disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei relativi benefici. Dopo il provvedimento di mancato riconoscimento della prestazione o dei requisiti (sanitari o socioeconomici) l'interessato ha davanti a sé solo la strada giudiziaria che può intraprendere nel termine di decadenza semestrale. Ebbene, il termine iniziale non potrà mai essere individuato nella scadenza dei termini per la proposizione e decisione del ricorso amministrativo o, in ogni caso, da un'eventuale data di comunicazione della decisione sul ricorso, in quanto tale tesi si scontra con il tenore letterale dell'articolo 42 citato, che al terzo comma ha chiaramente individuato tale termine iniziale nella data di comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa. Trattandosi di norma che fonda una decadenza con effetti dirompenti anche sotto il profilo sostanziale, la stessa risulta di stretta interpretazione e non consente quindi un'applicazione analogica o estensiva rispetto al significato chiaro del testo.

L'altra questione affrontata dalla Corte riguarda la rilevanza delle indicazioni errate, contenute nel provvedimento di reiezione, sulle modalità di ricorso, compresa la rilevanza di stati soggettivi relativi alla conoscenza dei meccanismi e dei termini di attivazione del giudizio a tutela dei propri diritti. In via generale, in tema di decadenza nella proposizione di atti giudiziari sia in materia previdenziale (articolo 47 del Dpr n. 639/1970), sia in quella assistenziale (art. 42 del Dl n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003), vale il principio, più volte affermato dalla Cassazione, secondo cui non hanno rilievo, ai fini del decorso del termine, tali circostanze. Questa regola, apparentemente così rigorosa, trae il suo fondamento dalla valutazione della natura della decadenza, istituto a rilevanza pubblicistica la cui applicazione è indefettibile. L'unica modalità per impedire la decadenza è infatti rappresentata dalla proposizione dell'azione giudiziaria nei termini previsti dalle singole norme di riferimento. Da questo punto di vista, l'erronea indicazione da parte dell'Inps del termine per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale contenuta nel provvedimento di provvedimento negativo, non è idonea ad incidere sul decorso dei termini di decadenza dell'azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, trattandosi di termini stabiliti da disposizioni di ordine pubblico, indisponibili dalle parti.

In realtà, in un primo momento la Cassazione aveva anche espresso un orientamento di tipo diverso, ritenendo, in alcune pronunce, che la mancanza di un provvedimento esplicito dell'Inps sulla domanda ovvero l'omissione nel provvedimento delle indicazioni prescritte nel quinto comma dell'articolo 47 del Dpr n. 638 /1970, costituissero impedimento al decorso del termine di decadenza (cfr. in tali sensi: Cass., 15 novembre 2004 n. 21595, Cass. 6 aprile 2006 n. 8001; Cass. 15 dicembre 2005 n. 27672). Tale orientamento si basava soprattutto sul disposto di cui all'articolo 3, comma 4, delle legge 7 agosto n. 241/1990 che impone l'indicazione del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere nei provvedimenti notificati ai privati. Ha però prevalso l'orientamento opposto, confermato dall'ordinanza n. 7494/2020, secondo cui l'omissione o l'erronea indicazione nell'atto dell'ente previdenziale degli elementi di cui al comma 5 dell'articolo 47 non impedisce il decorso del termine decadenziale, potendo operare, secondo alcune decisioni, solo sul terreno risarcitorio e risultando, di contro, del tutto irrilevante secondo altre - aventi a oggetto prestazioni previdenziali di diversa natura - perché attinente a termini di legge che il privato è tenuto in ogni caso a conoscere e rispettare. Conta la finalità dell'istituto, il fatto che la decadenza sostanziale di cui si discute è di ordine pubblico» (articoli 2968 e 2969 del Codice civile), in quanto annoverabile fra quelle dettate a protezione dell'interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici, ed è pertanto rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con il solo limite del giudicato, dovendosi escludere la possibilità, per l'ente previdenziale, di rinunziare alla decadenza stessa ovvero di impedirne l'efficacia riconoscendo il diritto a essa soggetto (cfr. sul punto Cass. Sez. VI civ., 7 febbraio 2019, n. 3587).

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