Contenzioso

La rilevanza dei tempi di vestizione degli infermieri

di Valeria Zeppilli

Nella regolamentazione dei rapporti lavorativi, in particolare nella valutazione dei tempi di lavoro, vi è una questione che, nonostante sia stata affrontata e analizzata molteplici volte e sotto diversi aspetti, ancora oggi è oggetto di contrasti interpretativi e giudiziari: i tempi di vestizione e di svestizione degli infermieri possono essere computati ai fini del calcolo dell'orario di lavoro?
La faccenda diventa ancora più rilevante nel periodo attuale (e chissà per quanto altro tempo ancora), in cui l'emergenza pandemica da coronavirus sta imponendo ai sanitari dei protocolli molto più rigidi, per evitare di essere contagiati e di contagiare. Agli infermieri, infatti, è richiesto non più semplicemente di indossare la propria divisa, ma di dedicare alla vestizione prima dell'avvio del turno vero e proprio una cautela e una premura ulteriori, indossando tutti i dispositivi necessari per la massima sicurezza, loro e dei loro assistiti.
Ed è così che arrivano con perfetto tempismo le sei sentenze gemelle della Corte di cassazione che sono tornate sui tempi-tuta, precisandone la rilevanza giuridica (sezione lavoro, 7 maggio 2020, nn. 8622, 8623, 8624, 8625, 8626, 8627).
Per i giudici di legittimità, quelli di indossare e dismettere la divisa sono innegabilmente dei comportamenti dell'infermiere che integrano la sua obbligazione principale e che sono funzionali a un corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria gravanti sul lavoratore. Di conseguenza, il tempo impiegato per porli in essere va autonomamente retribuito, soprattutto considerando che il datore di lavoro, in assenza di tale prestazione preparatoria, può rifiutare la prestazione finale del sanitario.
Del resto, l'attività di vestizione degli infermieri non è posta nell'interesse (o almeno non solo nell'interesse) dell'azienda sanitaria alle cui dipendenze essi operano, ma risponde alle esigenze superiori di sicurezza e igiene pubblica.
In ragione di tutto ciò, affinché tale attività possa dare diritto alla retribuzione non serve che la contrattazione collettiva dica espressamente qualcosa a riguardo, anzi: anche nel silenzio di quest'ultima, la retribuibilità dei tempi di vestizione non può essere negata.
Tale conclusione, come espressamente rilevato dalla stessa Corte, non trova nessun ostacolo nella giurisprudenza in base alla quale il tempo-tuta rientrerebbe nel tempo di lavoro solo laddove sia qualificato da eterodirezione. Quest'ultima, infatti, non deve necessariamente derivare da una disciplina esplicita dell'impresa, ma, come avviene nel caso degli infermieri, può anche essere implicita e discendere dalla natura degli indumenti indossati da tale categoria di lavoratori, che, per le finalità sopra citate, sono differenti da quelli utilizzati o utilizzabili nella normale vita quotidiana.
Una conferma, quella giunta dalla Cassazione, che vale ancor di più se si pensa ai dispositivi di protezione individuale che, ai tempi del coronavirus, infermieri e sanitari sono costretti a indossare prima dello svolgimento del turno e a rimuovere alla sua conclusione.

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