Contenzioso

Le rapine ripetute chiamano in causa la responsabilità del datore di lavoro

di Flavia Maria Cannizzo

La predisposizione di impianti di videosorveglianza, bussole multi-transito, cassaforte ad apertura programmata e l'installazione di teleallarme con pulsanti antirapina non costituiscono misure idonee e sufficienti a garantire l'incolumità del lavoratore in contesti ambientali a elevata pericolosità, e non esimono, dunque, il datore di lavoro dalla responsabilità per danni alla salute derivati ai dipendenti da plurimi eventi di rapina.

Questo quanto statuito in una pronuncia dalla Corte di cassazione (numero 15105 del 15 luglio 2020) a definizione della lunga vicenda processuale che aveva visto contrapposte Poste Italiane e una dipendente, la quale aveva sviluppato nel tempo un grave disturbo post-traumatico da stress a causa delle numerose rapine patite sul lavoro nel corso degli anni.

Il Tribunale e la Corte d'appello avevano dato ragione alla lavoratrice, condannando Poste Italiane a corrisponderle un risarcimento di non poco conto sulla base della conclusione che le molteplici misure adottate - su cui la società aveva insistito per dimostrare quante e quali cautele avesse messo in atto contro i frequenti eventi di reato - non avessero certamente il fine di proteggere i lavoratori impiegati presso gli uffici a rischio dalle rapine ma piuttosto «di fare in modo che queste non recassero troppo danno all'azienda».

I giudici di legittimità hanno dato seguito alle considerazioni delle corti di merito e non hanno ritenuto fondato il ricorso di Poste Italiane avverso le decisioni dei giudici partenopei. In particolare, nel chiarire la portata dell'articolo 2087 del Codice civile, con riferimento al caso di specie, si sono soffermati, innanzitutto, a ribadire che la norma impone all'imprenditore l'obbligo di adottare tutte le misure che «avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori»; pertanto, in ipotesi di attività lavorativa divenuta pericolosa (circostanza indubbia nel caso di specie, viste le numerose rapine susseguitesi nel tempo), la norma è atta a sanzionare l'omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele adeguate a preservare l'integrità psicofisica del dipendente nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto contesto e connesso rischio in cui opera.

Sotto altro profilo, i giudici di Cassazione riaffermano che la persona, e in particolare la sua dignità, sicurezza e salute «costituiscono il centro di gravità del sistema», cosicché sia in base all'articolo 32 della Costituzione, sia in base alle clausole generali di correttezza e buona fede e del neminem laedere, il datore di lavoro avrebbe dovuto, in un caso quale quello sottoposto al vaglio dei giudici, tutelare maggiormente la salute fisica e psichica della lavoratrice e dei colleghi, esposti a ben dieci rapine nel corso di un ventennio.

Sicché, non avendo Poste Italiane potuto provare l'adozione delle specifiche misure di cautela dei lavoratori dettate dal contesto e rischio specifico cui erano esposti, non può che risponderne in via di responsabilità contrattuale per condotte omissive.

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