Contenzioso

Illeciti in materia di lavoro, non basta la buona fede del datore per evitare la condanna se la sanzione non viene pagata

di Mario Gallo

La crisi economica degli ultimi anni, che rischia di aggravarsi ulteriormente per effetto della pandemia da Sars-Cov-2, sta evidenziando anche la crescente difficoltà da parte di molti datori di lavoro nel sanare gli illeciti commessi in materia di lavoro.

Si tratta, invero, di un profilo delicato e sempre più attuale che dimostra come gli istituti deflattivi del processo penale sono diventati ormai, specie di questi tempi, sempre meno efficaci.

In tal senso appare emblematico il caso affrontato dalla Cassazione pen. sez. III, 30 luglio 2020, n. 23184, riguardante un datore di lavoro che è stato condannato alla pena di euro 2.000,00 di ammenda, con diniego della sospensione condizionale della pena, per avere installato all'interno di un cantiere un ponteggio non a norma, violando così l'articolo 122 del Dlgs n.81/2008.

Sanatoria parziale dell'illecito
Il datore di lavoro, infatti, è stato destinatario di un verbale di prescrizione obbligatoria, impartita dal personale dell'Ispettorato del lavoro ai sensi del Dlgs n.758/1994; da quanto è possibile desumere dalla sentenza l'imputato aveva ottemperato alla prescrizione, adeguando il ponteggio, ma successivamente non aveva provveduto al pagamento della somma prevista (pari a un quarto del massimo dell'ammenda) nel termine dei trenta giorni.

Il datore di lavoro ha, così, fatto ricorso per cassazione, censurando l'operato dei giudici di merito e lamentando, tra l'altro, la sussistenza del vizio di violazione di legge, riferito all'articolo 131 bis del Codice penale, in quanto, nella specie, sussistevano a suo avviso tutti i presupposti richiesti per l'applicazione della causa di non punibilità, sottolineando in particolare che i giudici di appello, pur avendo riconosciuto la sua buona condotta, per aver prontamente adempiuto ai rilievi dell'organo di controllo, e l'episodicità del fatto, avevano contraddittoriamente valutato la gravità del comportamento criminoso e il grado di colpevolezza con formule generiche, quali l'entità del danno o del pericolo e la pluralità delle omissioni, senza considerare che nessun danno era stato cagionato ai lavoratori dipendenti.

Buona fede e mancato pagamento della sanzione amministrativa
I giudici di legittimità hanno, tuttavia, respinto il ricorso precisando che la buona fede e la natura del reato di pericolo non hanno un valore esimente della responsabilità penale del datore di lavoro che, comunque, ha messo a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura di lavoro pericolosa.
Infatti, se il pagamento dell'oblazione, cui il contravventore viene ammesso a seguito dell'eliminazione della violazione accertata degli ispettori, configura una causa di estinzione del reato, così come previsto dall'articolo 24 del Dlgs n.758/1994, il mancato pagamento della somma prescritta in sede amministrativa non elimina, per effetto del successivo adempimento, la contravvenzione già perfezionatasi in tutti i suoi elementi costitutivi al momento della constatazione, coincidente con il sopralluogo eseguito nel cantiere dal competente organo di vigilanza.
Pertanto, secondo la Cassazione «il tardivo adempimento alle prescrizioni dell'organo amministrativo resta un post factum del tutto neutro rispetto al disvalore, anche in termini di offensività, dell'illecito penale».
Di conseguenza la buona fede del datore di lavoro che, comunque, aveva messo a norma il ponteggio, non estingue la contravvenzione in assenza del pagamento della sanzione nei termini di legge previsti, né ha rilievo che si tratti di reati di pericolo in cui, quindi, dalla condotta omissiva non è scaturito un infortunio sul lavoro.
Per altro, secondo i giudici, è anche destituita di fondamento la contestazione difensiva secondo la quale trattandosi di reato di pericolo prontamente sanato dall'imputato, nessun danno sarebbe stato cagionato ai lavoratori dipendenti.
Infatti, da un lato la messa in uso di un ponteggio non a norma non è una violazione meramente formale – visto che espone i lavoratori al grave rischio di caduta dall'alto – mentre dall'altro osserva ancora la Cassazione «nei reati di pericolo, l'offesa al bene giuridico protetto si traduce in un nocumento potenziale dello stesso, che viene soltanto minacciato», quindi si realizza una condotta che lede il diritto alla salute del lavoratore, protetto dall'articolo 32 della Costituzione.

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