Contenzioso

Prescrizione dei contributi Inps, modalità d’interruzione del termine

di Silvano Imbriaci

Con la sentenza n. 18140 del 31 agosto 2020, la Sezione Lavoro della Cassazione torna su alcuni aspetti legati alla disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali, materia che offre sempre continui spunti e riflessioni per la sua delicatezza e importanza.

Questa volta la Cassazione affronta aspetti processuali e non solo sostanziali della questione. Da un punto di vista processuale, la sentenza infatti ribadisce a chiare lettere la modalità con cui l'eccezione di interruzione della prescrizione (da parte dell'ente previdenziale) può essere veicolata nel processo.

Anche in questo caso, la particolare valenza pubblicistica che riveste l'istituto della prescrizione in ambito contributivo (legge n. 335/1995, articolo 3, commi 9 e 10), aiuta a comprendere come tale eccezione sia considerata rilevabile d'ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, anche se nell'ambito delle allegazioni e prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo. Vi è dunque una sostanziale apertura all'ingresso della questione in ambito processuale, connessa alla qualità dell'eccezione (in senso lato), con l'unico limite della presenza nel processo, da qualunque parte e in qualunque veste essa sia recuperabile, della documentazione dei fatti che determinano l'interruzione.

Gli unici veri oneri di allegazione e prova che riguardano il regime delle eccezioni in senso lato, dunque, si atteggiano solo nella rintracciabilità dei fatti documentali all'interno del materiale allegato dalle parti. Efficacemente la giurisprudenza, sulla questione (risolta una volta per tutte dalle Sezioni Unite con la sentenza n.15661/2013), seguita dalla dottrina, adotta locuzione assai indicativa, a indicare la possibilità che gli atti interruttivi siano comunque documentati tramite cosiddette allegazioni silenti: anche se i documenti da cui si trae la capacità interruttiva della prescrizione sono stati allegati per uno scopo diverso, il giudice, se rileva la circostanza, non può non tenerne conto. L'importante è che siano regolarmente acquisiti o acquisibili al processo. Tale principio, che emerge in presenza di eccezioni in senso lato, vale a maggior ragione in ambito contributivo, dove il particolare regime della prescrizione (ossia la sua irrinunciabilità, a causa degli effetti sulla posizione contributiva del lavoratore della prescrizione) impone la maggior estensione possibile dell'utilizzo di strumenti processuali idonei a valutare la esigibilità della contribuzione stessa.

La questione sostanziale affrontata dalla sentenza riguarda invece proprio il profilo della provenienza degli atti interruttivi. L'interruzione del termine di prescrizione dei contributi previdenziali può realizzarsi, tra le altre cose, con atti stragiudiziali di costituzione in mora o con vere e proprie intimazioni di pagamento suscettibili di consolidarsi come titoli esecutivi con cui è possibile attivare un procedimento di riscossione forzata. Anche in questo ambito, la particolare attenzione con cui si valuta l'idoneità interruttiva di atti la si può osservare, ad esempio, nel regime che accompagna la spedizione e la conoscenza di detti atti interruttivi: l'atto di costituzione in mora spedito al debitore con raccomandata, si presume giunto a destinazione, anche senza la produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento, in presenza cioè della sola attestazione della spedizione; sarà quindi onere del debitore contestare l'avvenuta ricezione o il contenuto dell'atto al fine di neutralizzare gli effetti dell'eccezione di interruzione della prescrizione (cfr. Cass. 19 aprile 2018, n. 9729; sullo stesso principio si basa anche la recente Cass. n. 4218/2018, in tema di comunicazione del verbale ispettivo quale atto interruttivo della prescrizione). Ebbene, proprio la particolarità della disciplina in materia di atti interruttivi della prescrizione nel caso di contribuzione previdenziale, consente di comprendere meglio quanto affermato nella sentenza in commento dalla Sezione Lavoro. A fronte della contestazione circa la provenienza dell'atto interruttivo da un soggetto diverso rispetto all'ente previdenziale titolare del rapporto contributivo (nella specie: il verbale della Guardia di finanza e l'accertamento dell'agenzia delle Entrate), la Cassazione sottolinea che l'agenzia delle Entrate, in tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali (e di avviso di addebito per i crediti Inps), a norma dell'articolo 1 del Dlgs n. 462/1997, svolge un'attività di controllo sui dati denunciati dal contribuente, con la possibilità dunque di chiedere autonomamente il pagamento dei contributi omessi o evasi, salvo poi trasmettere i dati all'Inps per l'attivazione delle normali procedure di formazione del titolo e attivazione delle procedure di notifica. Dunque, la notifica dell'avviso di accertamento incide sul rapporto tributario e su quello previdenziale, determinando l'interruzione della prescrizione anche nei confronti dell'Inps. Quanto al verbale della Guardia di finanza, l'idoneità interruttiva della notifica deriva dalla unificazione delle procedure di accertamento e riscossione di contributi e imposte sui redditi, ogni qualvolta dall'accertamento compiuto emergano tracce di un reddito diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, diverso reddito da cui consegue, tra le altre cose, un'evasione o omissione contributiva.

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