Contenzioso

Dopo la doppia conforme niente ricorso per omesso esame di fatti decisivi

di Angelo Zambelli

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 29596/2020 del 24 dicembre, ha ribadito due princìpi: innanzitutto, l'impossibilità per le parti, nell'ambito della specificità del rito del lavoro, di introdurre domande, eccezioni e conclusioni nuove modificando in tal modo gli originali petitum e/o causa petendi; secondariamente, l'impossibilità di impugnare per omesso esame di fatti decisivi le sentenze di secondo grado in ipotesi di cosiddette “doppia conforme”, ovvero nel caso in cui i due gradi di merito si siano conclusi in maniera analoga.
Nel caso di specie, una lavoratrice aveva adito dapprima il Tribunale di Parma e poi la Corte d'appello di Bologna per veder dichiarata l'illegittimità del trasferimento disposto dal proprio datore di lavoro, oltre che per veder condannata al risarcimento la società per aver mantenuto una condotta vessatoria ai suoi danni.
Entrambe le Corti di merito avevano tuttavia riconosciuto la legittimità del trasferimento, riscontrando la sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dalla legge, ed escluso la configurabilità del lamentato mobbing, così concorrendo a formare la “doppia conforme”.
La lavoratrice faceva ricorso alla Cassazione denunciando, in breve, la violazione dell'articolo 2103 del Codice civile in tema di legittimità e sussistenza delle ragioni addotte a sostegno del trasferimento, l'omesso esame di un fatto decisivo in ordine alle condotte vessatorie asseritamente subite, nonché la mancata applicazione della specifica tutela prevista dall'articolo 33 della legge n. 104/1992, cui aveva accesso quale beneficiaria di tali tutele per l'assistenza alla madre.
La Corte di legittimità ribadiva, in merito alla dedotta violazione dell'articolo 2103, la legittimità del trasferimento avendo entrambe le Corti del merito ravvisato la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dalla normativa a suo tempo applicabile. Inoltre, quanto all'asserita omessa valutazione di fatti decisivi relativi al presunto mobbing, la Cassazione rilevava l'impossibilità di una valutazione di tali profili in sede di legittimità che non ricadesse in una nuova analisi del merito (come noto vietata), ovvero nell'analisi di profili di nullità della sentenza – insussistenti nel caso di specie – per carenza assoluta dei requisiti di validità ex articolo 111, comma 6, della Costituzione.
Infatti, argomentava la Corte respingendo il ricorso, nel caso di specie tale possibilità era esclusa dalla nuova formulazione dell'articolo 348ter, ultimo comma, del Codice di procedura civile, che preclude tale verifica nei casi di “doppia conforme”, ossia nei casi in cui – come nel caso in esame – la sentenza d'appello confermi la decisione di primo grado.
Infine, quanto all'ulteriore motivo, i giudici di legittimità, nuovamente concordando con la ricostruzione operata dalla Corte di merito, riscontravano come la lavoratrice, pur argomentando di aver indicato ab origine la sussistenza dell'obbligo di assistenza nei confronti della madre, avesse in realtà mancato di fondare la propria difesa sull'obbligo protettivo e sulla tutela di cui all'articolo 33 della legge n. 104/1992, indicando nel ricorso introduttivo solo ad colorandum le maggiori difficoltà connesse agli impegni assistenziali in esito al trasferimento e invocando unicamente nelle note conclusive tale ulteriore specifica tutela.
La Suprema corte, ripercorrendo le argomentazioni dei giudici di merito e ricordando che la possibilità offerta dall'articolo 183 del Codice di procedura civile di modificazione della domanda in relazione a uno o ad entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), nell'ambito della specificità del diritto del lavoro, consente unicamente la cosiddetta emendatio libelli, ma non anche la proposizione di domande nuove per causa petendi o petitum, neppure con il consenso (implicito o esplicito) della controparte, dichiarava infondato il motivo rilevando che, poiché la lavoratrice non aveva né esplicitamente richiesto la tutela assistenziale né, pur senza invocarla espressamente, ne aveva esposto chiaramente i fatti costitutivi, la domanda ai sensi della legge n. 104 del 1992 formulata nelle sole note conclusive risultava aggiungere un fatto nuovo e inerente a una diversa causa petendi e, come tale, era inammissibile.

La sentenza n. 29596/2020 della Corte di cassazione

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