Contenzioso

Contratti plurimi, riposi calcolati congiuntamente

di Angelo Zambelli

Con il comunicato stampa di ieri, la Corte di giustizia europea a ha preannunciato la propria decisione in merito alla questione sottopostale dal Tribunale di Bucarest (causa C-585/19) circa l’applicabilità dei limiti posti dalla Direttiva europea 2003/88/CE in tema di orario di lavoro e riposi (giornalieri e settimanali) a lavoratori che abbiano sottoscritto plurimi contratti con il medesimo datore di lavoro.

La vicenda riguarda l’Accademia degli Studi economici di Bucarest (Ase) che aveva ricevuto tramite le autorità rumene un finanziamento Fse per attività relative a un progetto per lo sviluppo delle risorse umane. A giugno 2018, il ministero dell’Istruzione ha ritenuto non ammissibile una parte dei costi salariali relativi agli esperti impegnati in quanto diversi avevano dichiarato, tra ottobre 2012 e gennaio 2013, un numero ore superiore al limite di 13 ore lavorative giornaliere. I lavoratori in questione risultavano assunti dall’Accademia sia con un contratto a tempo indeterminato per 40 ore settimanali, sia con uno o più contratti a termine e a tempo parziale.

Il Tribunale di Bucarest, investito della questione dall’Ase, ha adito la Corte Ue per chiarire se, nel caso di lavoratori assunti dal medesimo datore con plurimi contratti, le disposizioni di cui all’articolo 3 (sul riposo giornaliero) della direttiva 2003/88/CE si applichino a tali contratti considerati nel loro insieme, ovvero a ciascuno di essi considerato separatamente.

La Corte rammenta anzitutto come il diritto di ciascun lavoratore alla limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo, in particolare giornaliero, costituisca un diritto sociale dell’Unione. La Corte prosegue osservando che la direttiva 2003/88/CE definisce, all’articolo 2, paragrafo 1, l’orario di lavoro come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni […]» e impone agli Stati membri l’obbligo di prendere le misure necessarie affinché «ogni lavoratore» benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo di riposo minimo di 11 ore consecutive. Il «periodo di riposo» è definito, dalla medesima norma della direttiva, come «qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro». La Corte ne desume secondo logica che «orario di lavoro» e «periodo di riposo» siano due nozioni che si escludono a vicenda. È poi evidente, prosegue la Corte, che il requisito della direttiva in base al quale il lavoratore deve usufruire quotidianamente di 11 ore consecutive di riposo, non può essere soddisfatto se tali periodi di riposo sono esaminati separatamente per ciascun contratto: infatti, nel caso in sentenza, le ore considerate periodo di riposo nell’ambito di un contratto sarebbero atte a costituire orario di lavoro nell’altro. Poiché uno stesso periodo non può essere qualificato allo stesso tempo come orario di lavoro e di riposo, la Corte conclude correttamente che i contratti di lavoro stipulati da un lavoratore con lo stesso datore di lavoro debbano essere esaminati congiuntamente e che il periodo di riposo giornaliero si applichi a tali contratti considerati nel loro insieme.

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