Contrattazione

In trasferta o smart, ecco il lavoro senza badge

di Matteo Prioschi

Nel settore pubblico si fa la guerra contro i “furbetti del cartellino”. Perché la timbratura all’inizio e alla fine della giornata lavorativa costituisce uno degli strumenti principali di controllo dei dipendenti. Una situazione che testimonia come, nell’ambito dell’obbligazione del rapporto di lavoro, in molte realtà un aspetto prioritario sia ancora la misurazione del tempo trascorso in ufficio invece, o anche, della prestazione effettivamente svolta.

Tuttavia, soprattutto nel settore privato, l’evoluzione del modo di lavorare porta sempre più il rapporto dipendente ad assorbire caratteristiche tipiche di quello autonomo, tra cui l’assenza di un conteggio del tempo dedicato all’attività. Quando si pensa a una modalità di lavoro dipendente senza un tempo definito ultimamente il pensiero corre allo smart working. Un fenomeno in espansione, che secondo i dati più recenti dell’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano, coinvolge attualmente circa 570mila persone, un numero cresciuto del 20% tra il 2018 e il 2019.

L’adozione di questo modello, però, è fortemente differenziata tra imprese grandi e medio-piccole, con il 58% delle prime che ha progetti di lavoro agile, mentre nelle seconde le iniziative strutturate si fermano al 12 per cento. Anche la pubblica amministrazione, comunque, non è estranea al processo evolutivo, ma lo affronta con un passo lento e oggi vi ha coinvolto il 12% dei dipendenti.

Tuttavia lo smart working non è l’unica modalità che almeno potenzialmente consente di non timbrare il cartellino, seppur magari per pochi giorni al mese. Ci sono attività o modalità che per le loro caratteristiche non consentono una verifica puntuale di quanto sta facendo il dipendente. Basti pensare ai lavori svolti fuori sede, per esempio, o a chi si muove quotidianamente al di fuori dell’azienda, magari per effettuare le consegne. Quando va in pausa pranzo non “striscia il badge”, almeno quello tradizionale.

Diventa quindi prevalente non il tempo dedicato all’attività ma il risultato ottenuto, una caratteristica tipica del lavoro autonomo, al pari della responsabilizzazione del dipendente che deve essere in grado di regolarsi al di là dei controlli esterni.

Che, peraltro, con le tecnologie attuali possono essere precisi almeno quanto la tradizionale timbratura del cartellino. Le soluzioni per monitorare il lavoratore anche a distanza non mancano. Tant’è che per chi fa smart working è stato previsto il diritto alla disconnessione. Per paradosso, dal punto di vista quantitativo è controllabile più chi sta fuori dall’azienda che chi vi si reca per lavorare, in quanto quest’ultimo una volta uscito può “sospendere” il rapporto con il datore di lavoro, mentre le tecnologie messe a disposizione di chi si trova lontano per comunicare con colleghi e responsabili possono tracciare l’attività 24 ore su 24. Tant’è che si è posto e permarrà un problema di tutela della privacy a questo riguardo.

Quindi non è una questione del luogo in cui viene svolta la prestazione lavorativa, ma del fatto che più del tempo si deve valorizzare il risultato. Da questo punto di vista, dunque, anche chi si reca in azienda, come già avviene in alcune realtà, può non essere chiamato a timbrare il cartellino, a non rendicontare le ore trascorse, e al contempo essere chiamato a una maggiore responsabilità nei confronti del datore di lavoro e dei colleghi.

Il tema dei tempi (e dei luoghi) di lavoro è stato oggetto anche del recente Congresso nazionale Agi, che ha riunito 700 avvocati giuslavoristi. Perché il tempo, da sempre uno degli elementi caratteristici del rapporto subordinato, oggi in realtà va declinato al plurale: si può scegliere quando e quanto lavorare (non ancora il “se” almeno per i dipendenti) e quindi una misurazione di questa variabile può non essere più fondamentale dal punto di vista contrattuale ma può rimanerlo a livello statistico e come indicatore della conciliazione vita privata-lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©