Contrattazione

«Lo stop ai licenziamenti legittimo se temporaneo»

di Davide Colombo

La pandemia ha scosso le basi della globalizzazione, i sistemi sanitari sono stati messi a dura prova e i presidi del welfare nazionale sono stati sovra-finanziati per integrare le cadute di reddito indotte dalle quarantene antivirus. In Europa si è deciso di consentire agli Stati di intervenire con sovvenzioni dirette di pagamento dei salari dei dipendenti per evitare i licenziamenti e in alcuni caso sono stati posti divieti a termine sui licenziamenti stessi. Insomma, una crisi senza precedenti destinata a lasciare il segno. Abbiamo chiesto al giudice costituzionale, Giulio Prosperetti, quali lezioni ci lascia questa drammatica esperienza perché molte soluzioni legislative adottate vanno nella direzione indicata nel suo ultimo libro, pubblicato lo scorso mese di novembre (“Ripensiamo lo Stato sociale” Cedam Wolters Kluwer).

Professore una delle sue proposte storiche per contrastare le delocalizzazioni è diventata realtà con il coronavirus: finanziare il lavoro e non la disoccupazione. Che ne pensa?

È ormai opinione comune, ne ha parlato anche il Papa, quella secondo cui, lo Stato deve assicurare il lavoro e non un mero assistenzialismo. Il problema è salvaguardare la dignità dell’uomo e il suo ruolo nella società. Ho sempre sostenuto che rappresentava un grave errore aver rimesso a paesi terzi tutto quel settore manifatturiero non particolarmente competitivo. La difficoltà sull’approvvigionamento delle mascherine è sintomatico del problema. Si dovrebbe pensare ad aiutare in via generale produzioni anche non competitive ma utili a garantire il lavoro e un equilibrato apparato produttivo. Sono contrario alla specializzazione sul piano globale delle diverse aree produttive, penso che ogni paese debba essere autonomo in ordine alle produzioni essenziali.

Lei ha anche sostenuto che bisognerebbe fiscalizzare integralmente gli oneri sociali per non penalizzare le aziende labour intensive. È il momento per fare questo passo?

Certamente la fiscalizzazione degli oneri sociali in questa fase, quantomeno riferita ai settori più colpiti dal lockdown e in generale dalla pandemia, sarebbe preferibile rispetto ad aiuti erogati con la tecnica del click day. Inoltre erogare contributi agganciati a complesse condizionalità non favorisce l’iniziativa imprenditoriale e subordina i finanziamenti a complicati meccanismi di erogazione e controllo. Agire sulla sfera dell'esonero contributivo avrebbe inoltre il vantaggio di agganciare l’aiuto pubblico al numero dei lavoratori favorendo così le imprese labour intensive. Sarebbe un primo passo verso un sistema di welfare sganciato dalla prestazione lavorativa.

Come giudica la diffusione di forme di lavoro agile non regolamentate che s’è determinata con il lockdown, un blocco che ha sospeso oltre 7 milioni di lavoratori (di cui 4,8 milioni dipendenti?

Il lavoro subordinato è in questa fase storica oggetto di ampi dibattiti, infatti il lavoro non si realizza più con la mera messa a disposizione delle energie lavorative in capo al datore di lavoro, perché anche il lavoro subordinato viene configurandosi in una serie di prestazioni di risultato e il lockdown ha costituito l’occasione per fare emergere questa nuova configurazione che nel lavoro agile trova una sua concreta espressione e che richiede una rivisitazione complessiva di tutti gli istituti che tradizionalmente presidiano al rapporto di lavoro subordinato. Oggi le imprese non comprano il tempo del lavoratore ma soprattutto la sua professionalità.

Da più parti sono arrivate proposte per un maggiore intervento pubblico a sostegno di attività o interi settori economici in piena crisi. Qualcuno ha parlato anche di partecipazione dei lavoratori alla governance d’impresa, sullo storico modello tedesco. Qual è la sua opinione?

In questa fase storica la finanziarizzazione dell’economia ha irrimediabilmente sacrificato i progetti di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese essendo il coinvolgimento dei lavoratori alle scelte imprenditoriali più legato alla economia reale. Indubbiamente ove si arrivasse ad aiuti alle imprese in forma di partecipazione minoritaria dello Stato anche il ruolo dei lavoratori assumerebbe un più pregnante rilievo saldando la logica della partecipazione a quella di una più generale concertazione sindacale.

Il divieto dei licenziamenti fino al termine dell’emergenza nazionale. Una misura senza precedenti. Come la giudica?

Indubbiamente la misura si giustifica in una situazione di breve e medio periodo e può anche essere riguardata come un corrispettivo sul piano sociale degli aiuti concessi alle imprese, specie se lo sgravio contributivo possa essere realizzato.

La cassa integrazione: siamo tornati a ricorsi massicci alle deroghe per raggiungere categorie senza tutele e le Regioni non si sono mostrate efficienti. Come andrebbe riformato il modello che abbiamo?

All’erogazione della integrazione salariale è correlato il divieto assoluto di svolgere una qualsiasi attività remunerativa e questo aspetto finisce con l’essere paradossale in situazioni nelle quali in realtà ci sarebbe comunque molto da fare. Il problema è che l’imprenditore non ha allo stato vie di mezzo o paga lo stipendio pieno e i relativi contributi o accede alla cassa integrazione. Per questo già trenta anni fa avanzai l’ipotesi di un sistema che sgravasse gli imprenditori del costo di lavori non produttivi ma necessari sostituendo l’ammortizzatore sociale con un mix tra retribuzione di scambio (opportunamente ridotta) e un’integrazione a carico della fiscalità generale.

Lei ha affermato che la crisi del nostro welfare è giuridica, non economica. L’epidemia che ci ha colpiti sembra confermarlo.

Proprio per quanto sin qui detto anche in questa particolare situazione la crisi determinata dalla pandemia non poteva che essere affrontata con l’attrezzatura giuridica esistente. Il problema è che da diversi anni utilizziamo strumenti giuridici nati in un diverso contesto socio-economico che, dobbiamo dirlo, rimane sclerotizzato anche a causa della normativa europea. In questa fase si è dovuto immediatamente ricorrere a derogare al divieto di aiuti di Stato, ma sul piano più generale va rivista la disciplina sulla concorrenza, che non consente ai singoli Stati di reagire alle politiche di dumping sociale e fiscale anche tra paesi membri dell’Unione.

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