Contrattazione

Contratto a tempo determinato «salvato» dalle deroghe

di Aldo Bottini

La disciplina del contratto a termine è un cantiere perennemente aperto. Negli ultimi 30 anni, tra interventi di rilievo e piccoli (ma spesso significativi) ritocchi, si contano una quindicina circa di modifiche legislative.

Il fil rouge è la convinzione, ribadita nella direttiva europea 70/1999/CE, che il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisca, e debba continuare a costituire, la forma comune di rapporto di lavoro e che, quindi, vada contrastato l’abuso del ricorso al lavoro a termine. Il che ha portato ad un’alternanza, con andamento pendolare, tra politiche restrittive e interventi di maggiore liberalizzazione.

In epoca recente si è passati da un sistema fondato sulle causali (tassative secondo la legge del 1962, generali con la riforma del 2001) a una relativa liberalizzazione, prima parziale nel 1992 con la Riforma Fornero e poi più decisa nel 2014/2015 (decreto Poletti e Jobs Act), con l’abolizione della causale e la previsione di soli limiti quantitativi e di durata. Per poi tornare nel 2018, con il cosiddetto decreto Dignità, a un sistema di causali ancor più rigido del precedente (dopo i primi 12 mesi di consentita acausalità), peraltro in aggiunta ai limiti quantitativi e di durata. L’intendimento del Dl 87/2018, di contro, era quello di incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato, portando a una diminuzione della precarietà.

In concreto, però, l’imposizione delle causali dopo i primi 12 mesi ha portato a una sostituzione dei lavoratori più che a una loro conferma a tempo indeterminato.

La rigidità dell’attuale regime si è poi rivelata del tutto irragionevole nell’emergenza Covid-19: il legislatore, pur tra ingiustificate resistenze e in modo talora timido e contraddittorio, è stato costretto a interventi derogatori legati all’emergenza, volti ad impedire l’allontanamento dei lavoratori con contratto in scadenza. Il più recente, che viene analizzato a pagina 2 e 4 di questa guida rapida, è quella contenuta nel Dl Agosto che, entro il 31 dicembre 2020, permette di prorogare, per una sola volta e di 12 mesi al massimo, tutti i contratti in coro alla data di entrata in vigore del decreto. E senza causali.

Almeno in questa fase drammatica, anche per la situazione economica e l’occupazione, ha prevalso la considerazione di buon senso secondo cui un lavoro a termine è pur sempre un lavoro.

A maggior ragione questo vale per la somministrazione, a lungo osteggiata e ancor oggi guardata, da una parte del mondo sindacale, con irragionevole sospetto. Anch’essa vittima delle restrizioni operate dal decreto Dignità, la somministrazione a termine è in realtà più tutelante per il lavoratore del contratto a termine diretto. Non fosse altro per il fatto che l’agenzia, alla scadenza del contratto, ha interesse a ricollocare (e magari a riqualificare) il lavoratore in una nuova missione.

L’estensione al contratto di lavoro tra dipendente e agenzia dell’obbligo di causale oltre i 12 mesi e del limite di durata massima del rapporto ha certamente reso più difficile il ricorso alla somministrazione a termine e ha spinto le agenzie a somministrare a termine lavoratori da esse assunti a tempo indeterminato. In questo caso infatti non c’è obbligo di causale né limite di durata. In generale, nell’attuale quadro legislativo, si può concludere che, nonostante tutto, il ricorso alle agenzie per il lavoro per l’attivazione di rapporti a termine, pur se più costoso, rimane per l’utilizzatore la soluzione più sicura.

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