Previdenza

Fondo di garanzia Inps e cessione di azienda

di Silvano Imbriaci

Nella vicenda degli effetti del trasferimento d'azienda sulle prestazioni a carico del Fondo di garanzia Inps per i lavoratori interessati (Tfr e ultime mensilità) ancora non è stata detta l'ultima parola, nonostante la giurisprudenza sia già intervenuta a chiarire alcuni aspetti decisivi. La questione riguarda in sostanza le forme di tutela del lavoratore "ceduto" insieme al trasferimento di azienda, quando la cedente sia in stato di insolvenza e la società cessionaria risulti ancora in bonis.

Nel caso affrontato dall'ordinanza della Cassazione , VI sez., 2 dicembre 2019, n. 31442, la situazione è ancora complicata (ed è questo il motivo per cui vi è rimessione della questione alla trattazione in pubblica udienza) dal fatto che successivamente al trasferimento, dopo qualche mese, la lavoratrice che aveva maturato gran parte del Tfr nel rapporto di lavoro con la cedente aveva cessato il rapporto di lavoro anche con la cessionaria e si era rivolta al Fondo di garanzia per il pagamento del Tfr e ultime mensilità per il quale si era insinuata nello stato passivo della cedente, che però era fallita dopo le dimissioni della lavoratrice dalla società cessionaria.

L'Inps aveva respinto la domanda, evidenziando il fatto che vi era la cessionaria (co-obbligata) non in stato di insolvenza e quindi capace di provvedere alla soddisfazione del credito retributivo prima del ricorso al Fondo di garanzia che doveva essere considerato alla stregua di rimedio residuale, esperiti cioè i tentativi di ottenere il pagamento delle spettanze dai soggetti obbligati in via diretta ed indiretta. Nella vicenda si incrociano dunque profili diversi, sui quali in qualche modo la Cassazione di recente ha già fornito alcune indicazioni di rilievo.

In particolare, la giurisprudenza della Suprema corte già da tempo ha affermato che il diritto al trattamento di fine rapporto matura progressivamente in ragione dell'accantonamento annuale da parte del datore di lavoro, mentre è rinviata alla cessazione del rapporto la residua circostanza della sua esigibilità (cfr. Cass. n. 19291/2011). Ciò a dire, in termini pratici, che il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di Tfr maturata durante il periodo di lavoro da lui svolto e calcolato fino alla data del trasferimento, mentre il cessionario rimane obbligato per la stessa quota solo in ragione e nei limiti del vincolo di solidarietà derivante dall'applicazione dell'articolo 2112 del Codice civile (ciò avrebbe consentito al lavoratore di rivolgersi, per il pagamento del Tfr, anche al cedente nei limiti della quota di competenza).

Se dunque il lavoratore ottiene l'ammissione del suo credito allo stato passivo del cedente e poi si rivolge (come nel caso di specie) all'Inps, l'Istituto in che modo può esercitare l'azione di surroga e, soprattutto, può eccepire la mancanza dei requisiti di accesso alle prestazioni del Fondo – ad esempio, la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario - a fronte dell'avvenuta ammissione del credito del lavoratore allo stato passivo del cedente (con riconoscimento, dunque, della debenza del Tfr)?

La Cassazione, nel 2018 (sentenza n. 19277 e successive conformi), mutando un orientamento consolidato in senso opposto, ha affermato che l'Inps ha piena facoltà di contestare la ricorrenza dei presupposti del diritto di credito lavoristico anche in caso di ammissione al passivo della domanda del lavoratore. Nel caso di specie, come si è detto, la lavoratrice aveva continuato il rapporto con la cessionaria, salvo poi concluderlo, per dimissioni, in una data antecedente al fallimento della cedente, precedente datore di lavoro, nel cui stato passivo tuttavia aveva chiesto e ottenuto l'ammissione del proprio credito.

Ebbene, le norme che disciplinano l'intervento del Fondo di Garanzia (articolo 2 della legge 297/1982; articolo 2 del Dlgs n. 80/1992) presuppongono lo stato d'insolvenza del datore di lavoro che è tale al momento della domanda di insinuazione al passivo; tale principio è stato ribadito dalla Corte con riferimento all'ipotesi in cui il lavoratore si trovi alle dipendenze del cessionario al momento della domanda di insinuazione del credito al passivo della cedente (cfr. Cass. n. 14348/2019). Allo stesso modo, la Cassazione ha anche precisato che l'intervento del Fondo di garanzia non è subordinato alla previa escussione degli obbligati solidali del datore di lavoro insolvente, quindi anche dello stesso cessionario (tenuto solidalmente in quanto datore di lavoro attuale: cfr. Cass. n. 26021/2018).

Tuttavia, entrambe queste statuizioni non coprono per intero la situazione in cui si trova la lavoratrice nel caso sottoposto all'attenzione della Corte. Manca, infatti, un rapporto di lavoro in corso, al momento della domanda di insinuazione al passivo della cedente, sia nei confronti della cedente (pacificamente), sia nei confronti della cessionaria, presso la quale il rapporto è proseguito per tutto il periodo in cui il cedente era in bonis e non ancora fallito, ed è cessato prima della dichiarazione di fallimento del datore di lavoro cedente.

Per il solo fatto di non rientrare in alcuna di queste ipotesi, la Cassazione ritiene che la questione debba essere affrontata in pubblica udienza e che quindi non possa essere decisa solo sulla scorta del precedente direttamente applicabile. Sarà la Quarta sezione a dover stabilire se e in che modo sia possibile assicurare l'intervento del Fondo di garanzia in una situazione di latenza del rapporto di lavoro nei confronti sia del cedente, sia del cessionario, al momento della dichiarazione di fallimento del cedente.

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