Previdenza

Pensioni, Macron alla ricerca di un compromesso difficile

di Riccardo Sorrentino

La riforma delle pensioni «sarà realizzata», ha detto Emmanuel Macron. I sindacati però non sono d’accordo e il 9 gennaio è prevista una nuova grande manifestazione, dopo la mobilitazione del 5 dicembre e i mille scioperi che da un mese segnano la vita sociale ed economica della Francia.

I contorni del confronto sono netti. Macron, nel suo discorso di fine anno, ha espresso la sua ferma volontà di unificare, sia pure in modo graduale, i 42 sistemi pensionistici del Paese. Ha quindi affidato al governo di Édouard Philippe il compito di trovare un compromesso con le parti sociali - faticosamente cercato dal 2017 a oggi, in realtà - prima di passare il progetto al Parlamento, entro fine mese.

L’obiettivo è chiaro: ridurre il peso delle spese pensionistiche, in una situazione demografica sfavorevole, cercando nello stesso tempo di creare una maggiore eguaglianza. Quest’ultimo obiettivo è stato per esempio riconosciuto dalla Confédération française démocratique du travail (Cfdt), il maggior sindacato francese, che però si oppone come gli altri all’introduzione di un’età pivot a 64 anni, contro i 62 dell’età pensionabile, per incentivare la permanenza al lavoro con un sistema di premi.

Gli altri sindacati, a cominciare dalla Confédération générale du travail (Cgt), il secondo nel Paese, sono invece contrari all’intero impianto della riforma; e così molte organizzazioni di rappresentanza delle professioni liberali, avvocati in testa, forti di un sistema previdenziale in attivo e senza squilibri demografici in vista.

Giovedì prossimo saranno tutti in piazza, insieme. L’obiettivo è quello di superare la mobilitazione del 5 dicembre, quando sfilarono nelle città francesi da 800mila (secondo la Polizia) a 1,5 milioni (secondo gli organizzatori) di persone. Alcune categorie - i pompieri, per esempio, in sciopero da giugno - hanno aderito anche con rivendicazioni specifiche, mentre i medici ospedalieri si sono divisi: la Cgt parteciperà, mentre altre sigle hanno deciso di non mescolare le proprie rivendicazioni - legate alla riduzione delle risorse per la sanità - ai temi previdenziali.

La situazione non offre facili soluzioni. Il sistema non è sostenibile nel lungo periodo. Attualmente i contributi previdenziali coprono l’80% delle spese per le pensioni, e la parte restante è in buona parte finanziata dai contribuenti, che sono chiamati in particolare a colmare gli squilibri di alcune gestioni speciali, come quella della Sncf (ferrovie), della Ratp (le linee metropolitane di Parigi), e il settore energetico (tra cui la Edf). Nel tempo, la percentuale di pensionati rispetto agli attivi è inoltre destinata ad aumentare (sia pure senza raggiungere i livelli previsti dall’Italia).

È quindi inevitabile che la riforma, sia pure riequilibrando le prestazioni a favore di donne e precari, porti a una compressione delle pensioni rispetto ai livelli riconosciuti oggi. Il caso degli insegnanti - per i quali nessuno dei numerosi correttivi predisposti all’impianto generale della riforma è sufficiente - è emblematico, al punto che, “congelando” le loro pensioni, il governo ha di fatto escluso la categoria dalla riforma.

Le nuove regole - a parte casi specifici - non riescono a individuare inoltre privilegiati e sfavoriti dell’attuale sistema, su cui costruire il consenso per il loro varo. Anche se l’80% dei francesi fa capo a soli tre grandi sistemi “generali”, il 97% partecipa ad almeno due sistemi previdenziali, il 61% ad almeno tre e il 28% ad almeno quattro. I lavoratori francesi sono dunque toccati dalla riforma secondo modalità molto diverse che impediscono di individuare blocchi da contrapporre.

I sondaggi mostrano una forte variabilità nei dati di favorevoli e contrari, anche se effettuati dagli stessi istituti e a distanza di pochi giorni. Sembra comunque prevalere una maggioranza di contrari anche se sono davvero in pochi - rispetto al clamore delle mobilitazioni - a ritenere possibile il mantenimento del sistema attuale. A scarseggiare, però, è il tempo a disposizione del governo per trovare un equilibrio tra le diverse posizioni. Solo spezzando il fronte sindacale - compatto esclusivamente sul “no” all’età pivot, che pure è importante nella logica della riforma - potrebbe riuscire a trovare una via d’uscita senza dover forzare politicamente la mano; ma non sarà facile.

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