Previdenza

Grande distribuzione con cassa in deroga

di N.T.

«È indubbiamente da considerare positiva la fruttuosa e efficace interlocuzione e collaborazione proattiva tra l’Associazione nazionale commercialisti area lavoro (Ancal) e la direzione centrale Ammortizzatori sociali dell’Inps, nell’interesse collettivo, rispetto al riconoscimento della Cassa integrazione in deroga (Cid) alle aziende del settore commercio con oltre 50 dipendenti» ha affermato Gian Piero Gogliettino, segretario generale dell’Ancal.

La vicenda parte dal vulnus interpretativo che si era venuto a creare da parte di alcune Regioni che, nel definire con accordi quadro il perimetro di intervento dell’ammortizzatore in deroga, avevano escluso dallo stesso le aziende del commercio con oltre 50 dipendenti.

«La tesi portata avanti da Ancal, fin dall’entrata in vigore del decreto Cura Italia – ha proseguito in una nota Gogliettino –, ha poggiato la sua tenuta sulla circostanza che la tutela a favore dei dipendenti delle aziende in commento non può trovare un perfezionamento nell’assegno ordinario Covid19 erogato dal Fondo di integrazione salariale (Fis). Infatti, tale strumento è sì riconosciuto in linea generale ai datori di lavoro del commercio, ma nella misura in cui non rientrano nel campo di applicazione della Cigs; condizione soddisfatta fin tanto che la loro forza lavoro media non supera le 50 unità. Diversamente, nel caso di sforamento di tale soglia media, essendo tenute al versamento della contribuzione Cigs, le aziende in parola non hanno diritto all’assegno ordinario, bensì alla Cassa integrazione in deroga».

La questione ha generato situazioni critiche in alcune sedi territoriali Inps, culminate nella reiezione della domanda Cid Covid19, ritenendo che l’azienda dovesse rivalersi sulle prestazioni ordinarie previste per la pandemia.

«Come sindacato dei commercialisti giuslavoristi – continua Gogliettino – ci siamo adoperati interessando l’Inps anche perché chi avrebbe pagato il prezzo più alto di tutto ciò sarebbe stato il solo lavoratore considerato che, in una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione per emergenza epidemiologica da Covid19, non avrebbe avuto la garanzia della retribuzione da parte del suo datore di lavoro».

Più semplice, quindi, sarebbe stata la previsione di un unico ammortizzatore sociale Covid19, rimettendo la sua attivazione nelle disponibilità del lavoratore interessato dalla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.

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