Previdenza

Quota 100, riparte il tavolo sotto i riflettori Ue

di Davide Colombo e Marco Rogari

Nella partita sulle pensioni c’è anche una sorta di convitato di pietra con cui dovranno fare i conti Governo e sindacati: l’accordo appena raggiunto a Bruxelles sui 750 miliardi di aiuti, tra prestiti e sussidi, ai Paesi dell’Unione. Anche perché il plan dettagliato che sarà presentato in autunno dall’esecutivo per giustificare l’utilizzo delle risorse comunitarie dovrà sostanzialmente uniformarsi alle raccomandazioni al nostro Paese messe nero su bianco proprio da Bruxelles negli ultimi due anni. E nel ventaglio di sollecitazioni c’è anche quella di attuare pienamente le passate riforme pensionistiche con l’obiettivo di ridurre la spesa e l’eccessivo ricorso ai pensionamenti anticipati. Un messaggio chiaro: abbandonare subito Quota 100 e tornare rapidamente a muoversi lungo il solco tracciato dalla riforma Fornero. Il caso delle nuove pensioni anticipate decise dal “Conte 1” è stato, del resto, evocato a più riprese dai Paesi frugali nel lungo e complesso negoziato europeo. E, per mantenere fluido il flusso degli aiuti comunitari, il Governo non può certo correre il rischio di inciampare nello scalone che si prospetta alla fine del 2021 con il “pensionamento” di Quota 100.

Il dossier verrà riaperto martedì prossimo, con la convocazione al ministero del Lavoro dei sindacati e della commissione tecnica voluta mesi fa dalla ministra, Nunzia Catalfo. E il confronto non potrà che ripartire dalle diverse ipotesi di flessibilità sostenibile da adottare prima della chiusura della sperimentazione partita nel 2019 e che, oltre a Quota 100, contempla la proroga per un anno dell’Ape sociale, di “Opzione donna”, degli anticipi per lavoratori precoci e usuranti e il congelamento fino al 2026 del requisito di anzianità a 42 anni (41 per le donne). Nel ventaglio di strumenti per un finanziamento di forme di anticipo capaci di rispondere anche alla crisi del mercato del lavoro ci sarà l’ipotesi di un utilizzo dei fondi bilaterali per la formazione (assorbono lo 0,3-0,45% del cuneo), ma potrebbe pure spuntare un rafforzamento delle isopensioni e un ripristino dell’Ape volontaria e aziendale. Mentre per una soluzione di prospettiva la base di riflessione dovrebbe essere su una flessibilità in uscita tra i 64 e i 67 anni, comunque molto onerosa se non accoppiata alla chiusure delle anzianità contributive. La flessibilità già prevista dalla riforma Fornero (64 anni con 20 di contributi e un assegno Inps non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale; 1.288 euro quest’anno) potrebbe pure essere estesa anche a chi ha contributi antecedenti il 1996 ma, anche in questo caso, il puzzle andrà composto tenendo conto del nodo risorse. Ieri un’analisi dell’Osservatorio previdenza della Fondazione Di Vittorio e della Cgil ha messo in luce che con le misure previdenziali contenute nel decreto 4/2019, compresa Quota 100, nel triennio 2019-2021 verrebbero spesi quasi sette miliardi in meno rispetto a quelli inizialmente previsti.

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