Previdenza

Quota 100, Ape e opzione donna: la frenata delle uscite anticipate

di Davide Colombo

La prima settimana di settembre, quando la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, riaprirà il confronto sindacale sulla riforma delle pensioni, la sperimentazione degli anticipi con “Quota 100” avrà probabilmente raggiunto il suo minimo assoluto. La grande frenata delle richieste di ritiro con i requisiti minimi di 62 anni e 38 di contributi è in corso ormai da mesi e i primi di giugno ha fermato il contatore Inps a 47.810 domande presentate, meno di un terzo delle domande accolte (non presentate, accolte) nell’intero 2019.

Le ragioni del disinteresse di tanti lavoratori che avrebbero potuto andare in pensione prima con 62 anni e 38 di contributi ma non lo hanno fatto sono note, e partono dalla penalizzazione sull’assegno finale che può arrivare a sfiorare il 15%. Ma la curiosità dell’ultima batteria di dati Inps sul monitoraggio delle nuove flessibilità valide fino a fine 2021 è che la caduta di “Quota 100” va di pari passo con le rinunce per le altre forme di anticipo. Le uscite con un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne (requisiti sganciati dall'adeguamento alla speranza di vita fino al 2026) si sono fermate a 79.093 in giugno, contro le oltre 95mila unità dello stesso periodo dell’anno scorso (-17%). Anche “Opzione donna” sembra aver perso tutto il suo appeal: la possibilità di ritiro con un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni ed un’età anagrafica di almeno 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) e 59 anni (per le autonome) è stata scelta da appena 8.842 soggetti nei primi due trimestri, meno della metà delle domande presentate entro giugno del 2019. E lo stesso discorso vale per l’Ape sociale, altra flessibilità prorogata per tutto il 2020. L'anticipo a 63 anni con 30 o 36 di contributi a seconda delle categorie considerate per questa uscita a favore di lavoratori più svantaggiati, si è fermata al 1° giugno a 9.503 domande, meno della metà di quelle presentate nel 2019, mentre per ognuno dei due anni precedenti gli “apisti” erano stati non meno di 48mila.

Quest’anno Inps nel Bilancio di previsione stima un calo di oltre 21mila unità per i pensionamenti anticipati complessivi rispetto a quelli di vecchiaia, un’ipotesi che rischia di essere clamorosamente smentita dalla realtà. Gli anticipi potrebbero essere ancora meno, come hanno dimostrato i dati sui flussi di pensionamento aggiornati al primo semestre sulle principali gestioni. Così come potrebbe apparire a questo punto sovradimensionata la voce di 3 miliardi di nuovi trasferimenti dello Stato, quest’anno, per la sola copertura di “Quota 100”. Potrebbe, perché c’è invece chi ha immaginato l’opposto, ovvero una maggiore spesa. A fine maggio «Itinerari previdenziali», il think tank guidato da Alberto Brambilla, ha spiegato che i pensionamenti anticipati previsti prima del Covid per il 2020 potrebbero raddoppiare per via della crisi innescata sul mercato del lavoro. Mentre è di parere opposto la Cgil, che in un suo report di fine luglio ha stimato in non più di 113mila le domande accolte a fine anno con “Quota 100”, contro le 327mila immaginate all’inizio della sperimentazione. Gli analisti del sindacato guidato da Maurizio Landini prevedono per quest’anno una minore spesa complessiva per circa 2,9 miliardi sulle uscite con “Quota 100”, gli anticipi con blocco della speranza di vita e “Opzione donna”. Un margine di finanza pubblica utile, secondo la Cgil, per disegnare nuove soluzioni di flessibilità sostenibile a partire dal gennaio 2022. Un buon viatico, se confermato, per un confronto da riaprire magari dopo aver letto anche l’ultimo focus sulle pensioni pubblicato nel Bollettino economico della Bce di luglio, dove si mettono in guardia i legislatori dell’eurozona: attenzione ad abbassare di nuovo i limiti di pensionamento, stanno per uscire dal mercato le numerose coorti dei baby boomers e le tensioni sul lato dell’offerta di lavoro potrebbero diventare rischiose.

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