Previdenza

Pensioni al 17% del Pil, per la spesa 2021 sforamento dello 0,8%

di Davide Colombo e Marco Rogari

Un arretramento dell’economia nazionale di quasi dieci punti in un solo anno lascerà impronte durature sulle curve della spesa pensionistica e socio-sanitaria. Di quanto lo prova a stimare la Ragioneria generale dello Stato nel consueto Rapporto sulle tendenze di medio-lungo periodo, che quest’anno arriva alla vigilia della Nota di aggiornamento al Def. Il picco del 2020 segna una spesa per pensioni pari al 17% del Pil, nuovo record di sempre, mentre nel decennio a venire lo scostamento rispetto alle previsione dell’anno scorso, dovuto agli effetti della crisi per la pandemia ma anche della sperimentazione triennale di Quota 100, è in rialzo dello 0,8%. La spesa correrà sopra il 16% fino alla vigilia del 2050 per poi scendere attorno al 13% al termine del periodo di previsione (2070) per via dell’esaurirsi delle pensioni dei baby boomers.

Al posto della famosa “gobba”, una volta attesa dal 2025 in poi, ora abbiamo un “plateau” lungo perlomeno trent’anni, secondo il nuovo scenario nazionale base, che prevede una crescita del Pil in termini reali dell’1,1 annuo per l’intero periodo di stima. A cambiare, in peggio, queste traiettorie ci avevano già pensato la doppia recessione che ha colpito l’economia nazionale tra il 2008 e il 2013, portando la spesa di 2,5 punti sopra i livelli del 2007.

Dati che faranno da sfondo al prossimo round tra governo e sindacati sugli interventi da adottare dal 2022 per il “dopo-Quota 100”. L’incontro in calendario oggi è stato rimandato in extremis a causa della quarantena della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e di altri membri del ministero. Le varie ipotesi sul tavolo, compresa quella di una soglia minima di uscita differenziata (a 62 o 63 anni d’età per i «lavoratori impegnati in attività gravose» e a 64 o 63 per tutti gli altri ma con penalizzazioni più robuste) dovranno comunque fare i conti con le indicazioni della Rgs.

Mai come quest’anno il Rapporto della Ragioneria è fitto di simulazioni su scenari alternativi più o meno avversi, nel rispetto di una metodologia condivisa con il Gruppo di lavoro sull’invecchiamento demografico del Comitato di politica economica del Consiglio Ecofin. Ma non mancano indicazioni immediate sul costo delle policy più recenti. Quota 100, per esempio, contribuirà alla crescita della spesa fino al 2029, anche se la sperimentazione si chiuderà l’anno prossimo. Il Governo com’è noto ha deciso che nel 2022 cambieranno le regole per i pensionamenti anticipati ma la Rgs offre un’analisi controfattuale per quantificare i costi di un’eventuale conferma, a regime, di Quota 100 e del congelamento a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne) del requisito di pensionamento con la sola anzianità contributiva.

Ebbene, nel caso i pensionamenti con 62 anni e 38 di contributi minimi fossero resi permanenti, la spesa si collocherebbe al 17% del Pil nel 2032, quindi dieci anni prima delle nuove previsioni post-Covid-19, ovvero su valori di 5 punti superiori rispetto allo scenario a legislazione vigente: le uscite crescerebbero di 10 punti fino al 2043 per poi recuperarne quattro negli anni successivi. L'abolizione permanente degli adeguamenti automatici di requisiti per il pensionamento con la sola anzianità contributiva (ora prevista solo fino al 2026) costerebbe altri 6,5 punti percentuali. Se entrambe le misure fossero mantenute in via permanente i maggiori oneri cumulati sull’intero periodo di previsione sarebbe di 10,8 punti di Pil (12,3 fino al 2044).

La sostenibilità della spesa è garantita dal “contributivo“ e dagli adeguamenti biennali dei coefficienti di trasformazione, e si riflette nei tassi di sostituzione in calo delle pensioni future. Ma se dagli scenari generali si scende alle analisi micro qualche dubbio sorge su altri equilibri di sistema. Per esempio, i pensionamenti previsti nel pubblico impiego faranno salire la spesa tra il 2020 e il 2024 dal 3,6% al 4,6 per cento .

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