Adempimenti

Inps nega la trasferibilità del Tfr già versato al Fondo di tesoreria

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

Se il lavoratore, dopo aver deciso di lasciare il Tfr in azienda, ci ripensa e aderisce alla previdenza complementare, non può contare sull’accantonamento che il datore di lavoro con almeno 50 addetti ha dovuto obbligatoriamente trasferire al Fondo di tesoreria gestito dall’Inps. Questo significa che la costruzione della sua pensione aggiuntiva, dal punto di vista economico, si baserà solo su ciò che maturerà dal momento della nuova scelta in poi. La restante parte di liquidazione (precedentemente accantonata e transitata alla Tesoreria) gli verrà pagata alla cessazione del rapporto ovvero anticipata, secondo le regole previste dal codice civile e quelle di miglior favore vigenti in azienda. Lo ha precisato l’Inps con il messaggio 413/2020 diffuso ieri.

La legge 296/2006 ha istituito il Fondo di tesoreria gestito dall’Inps per conto dello Stato. Il fondo è finanziato mensilmente dalle quote di Tfr che i lavoratori del settore privato, dipendenti da aziende con almeno 50 addetti, hanno esplicitamente scelto di mantenere al regime civilistico (articolo 2120 del codice civile), senza devolverle alla costruzione del cosiddetto secondo pilastro pensionistico.

Il versamento in tesoreria soggiace a regole specifiche tra cui quella che per cui alla relativa contribuzione si applicano le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva. A detta dell’Inps, quindi, il fondo si configura come una gestione previdenziale. Da ciò discende il principio di indisponibilità delle relative somme.

Il problema della trasferibilità del Tfr deriva dalla previsione normativa che consente al lavoratore di esercitare in qualunque momento l’opzione verso la previdenza complementare, revocando, così, la precedente opzione contraria. Questa successiva determinazione, tuttavia, comporta la destinazione alla forma pensionistica complementare delle quote di Tfr maturande, ovvero quelle relative a periodi successivi alla scelta esercitata. Il Tfr pregresso rimane quindi acquisito al Fondo di tesoreria e verrà liquidato alla cessazione del rapporto di lavoro.

È, invece, possibile, con accordo aziendale, trasferire a previdenza complementare lo stock di Tfr maturato al 31 dicembre 2006 (per chi ne dispone) e rimasto nelle disponibilità del datore di lavoro. In tal senso, infatti, si sono pronunciati sia l’agenzia delle Entrate (circolare 70/E/2007) che la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip).

Vale la pena di ricordare che la stessa Commissione, nel 2014, è tornata sul tema e, rispondendo a un Fondo pensione, ha affermando che, a suo avviso, sarebbe possibile il trasferimento del Tfr pregresso anche se accumulato dopo il 2006, all’unica condizione che la devoluzione avvenga in presenza di un accordo fra il datore di lavoro e il lavoratore interessato. Sul punto, tuttavia, la Covip aveva chiesto lumi all’Inps. A distanza di svariati anni, l’istituto di previdenza comunica la propria posizione che chiude alle ipotesi di trasferimento.

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