Adempimenti

Centri per l'impiego da rilanciare

di Sebastiano Fadda

Lo tsunami del coronavirus che si è abbattuto sulla nostra economia ha già fatto perdere di colpo in Italia circa 500 mila posti di lavoro. Ferma restando l'urgenza di un piano organico di politiche dirette a stimolare il livello di attività economica e quindi la domanda di lavoro, un contributo decisivo alla crescita dell'occupazione può venire da un rilancio delle politiche attive del lavoro e dell'azione dei Centri per l'Impiego.

Ma questa azione è oggi fortemente carente. Pur essendo chiaro che non si può attribuire alle politiche attive e ai centri per l'impiego il compito di “creare” nuovi posti di lavoro, grava tuttavia su di loro il compito da un lato di favorire la copertura dei posti vacanti facilitando l'incontro tra domanda e offerta e dall'altro il compito di favorire l'acquisizione delle nuove competenze che l'evoluzione dei sistemi produttivi richiede.

Sono pronti i centri per l'impiego ad assolvere questi compiti? L'attenzione sembra concentrarsi oggi sulla figura dei cosiddetti “navigator”, ma il problema va ben oltre. Si tratta di vedere quali carenze caratterizzano oggi il sistema dei servizi per il lavoro e quali interventi sono necessari per il loro rilancio.

Vi è in primo luogo da prendere atto che siamo in assenza di chiare linee strategiche delle politiche attive del lavoro, e quindi bisogna chiedersi quale sia la sede più adeguata per la loro elaborazione. Data la loro stretta attinenza con le dinamiche economiche e occupazionali del territorio sembrerebbe opportuno affidare questa funzione, in collegamento con un gruppo di pilotaggio permanente costituito presso il Ministero del Lavoro, a reti di operatori pubblici e privati da costituirsi sotto l'egida dei governi regionali. Ma, passando dalla governance alla questione dei CPI, la prima carenza da rilevare riguarda il numero degli addetti. Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso: gli operatori pubblici destinati ai servizi per il lavoro sono in Italia 7.934, contro i 115.000 della Germania, i 49.000 della Francia e i 77.000 del Regno Unito. Il piano di assunzioni previsto nel 2019 (ma non attuato) comportava un aumento dalla media di 16 unità di personale per CPI a circa 36; ma la media dice poco: l'aumento dovrebbe essere gestito e programmato in maniera razionale d'intesa con le Regioni, differenziando le assunzioni sia sulla base del numero dei soggetti presi in carico da ogni CPI, sia sulla base delle specifiche funzioni carenti nei diversi CPI. L'aumento del personale è la prima condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per il rilancio dei Centri per l'Impiego.

I problemi più grossi, infatti stanno sul piano delle competenze relative alle funzioni che i CPI devono svolgere. Se le funzioni fossero semplicemente quelle (meramente notarili) di incrociare le ricerche di lavoro degli individui con le richieste di personale delle imprese, sarebbe sufficiente un software o un robot, o un qualsiasi “navigatore”.

Ma se si vuole veramente rilanciare un ruolo efficace dei CPI bisogna sviluppare qualche funzione un po' più complessa.

La prima è quella relativa ai rapporti con il sistema delle imprese, Se non tutte le persone in cerca di occupazione si rivolgono ai CPI, ancor meno vi si rivolgono le imprese in cerca di nuovo personale. Il ruolo dei CPI in proposito non può limitarsi ad una funzione passiva, ma deve assumere una dimensione attiva. I Centri per l'Impiego devono interloquire con le imprese del territorio, attingere da queste la conoscenza dei fabbisogni professionali, coinvolgerle nell'utilizzazione dei loro servizi. Ciò può avvenire con l'uso di diversi strumenti (questionari, interviste, incontri individuali o di settore, etc.). E' chiaro che ciò richiede qualificate competenze, autorevolezza e affidabilità del personale.

La seconda è relativa alla capacità di analisi del mercato del lavoro locale e della sua evoluzione sia in relazione alle tendenze evolutive dell'economia del territorio, sia in relazione alle specifiche misure di politiche di sviluppo impostate dalle autorità locali. Ciò richiede capacità di compiere analisi autonome, ma anche capacità di connettersi con “osservatori” e centri studi locali. Senza questa base è difficile concepire per i CPI una attività di orientamento che non sia campata per aria.

La terza è relativa ai rapporti con l'intero sistema formativo operante nel territorio, non solo per consentire di confezionare appropriate proposte di percorsi formativi ai soggetti presi in carico, ma anche per collaborare, sulla base della conoscenza diretta dei bisogni formativi del territorio, nella stessa programmazione delle attività formative.

È urgente creare o a rafforzare competenze e strutture dedicate a queste funzioni laddove esse sono carenti, senza di che i CPI non potranno veramente funzionare e resteranno imbrigliati in un ruolo meramente burocratico e marginale. La convergenza di queste tre prospettive in un lavoro di squadra è infatti necessaria per formulare appropriati patti di servizio personalizzati capaci di un effettivo inserimento nel mondo lavorativo delle persone “prese in carico” dai CPI.

Presidente Inapp

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