Adempimenti

Incognita welfare da 15 miliardi sulla manovra

di M.Rog.

C’è ancora poco più di un mese a disposizione del governo per confezionare la prima manovra targata Draghi. Che di fatto comincerà a prendere forma quando, a fine mese, sarà presentata la Nota di aggiornamento del Def con le stime riviste su crescita, deficit e debito, oltre agli obiettivi programmatici. La nuova previsione del Pil, che dovrebbe attestarsi attorno al +6% (forse anche qualcosa di più), in netto rialzo rispetto ad aprile, e quella del disavanzo, più contenuto di quanto immaginato la scorsa primavera, dovrebbero confermare quello che già da settimane è l’orientamento a Via XX Settembre: non ricorrere ulteriormente a nuovo indebitamento, se non in dosi molto contenute in caso di necessità, per la composizione della prossima legge di bilancio. Che però deve fare i conti (in tutti i sensi) anche con le tensioni che attraversano la maggioranza. Tensioni che si sono acuite con l’ingresso nel semestre bianco e soprattutto con l’avvicinarsi della tornata delle prossime elezioni amministrative di ottobre. E che stanno rendendo complicata la ricerca della quadratura del cerchio su tre capitoli chiave: i nuovi ammortizzatori sociali, la riconfigurazione del Reddito di cittadinanza e il dopo Quota 100. Una partita, quella sul welfare, che da sola vale almeno 15 miliardi.

Soltanto quando sarà raggiunto un compromesso su questi tre delicati dossier, in termini di risorse necessarie ma anche sotto il profilo strettamente politico, sarà possibile cominciare a tratteggiare la fisionomia definitiva della manovra autunnale. Anche per questo motivo il ministero dell’Economia si sta muovendo con molta prudenza e, almeno fin qui, si è mostrato non troppo disposto ad allentare eccessivamente i cordoni della borsa. Garantire, ad esempio, gli 8-10 miliardi richiesti per la versione originaria del progetto di riforma degli ammortizzatori sociali abbozzato dal ministro Andrea Orlando significherebbe valutare anche la riduzione dei fondi da destinare al Reddito di cittadinanza, caro ai Cinque stelle, o alle nuove misure pensionistiche invocate in prima battuta dalla Lega e dai sindacati. Ma Palazzo Chigi e Mef dovranno guardare anche al peso politico delle singole richieste che verranno accolte o bocciate per evitare che la maggioranza corra il rischio di accartocciarsi nel momento in cui dovesse cominciare ad aleggiare il fantasma dei ”vincitori” e dei “vinti”. E anche in questo caso le scelte che saranno compiute nelle prossime settimane sul welfare avranno un peso non trascurabile, con una diretta ricaduta sulla ”gestione”, anche parlamentare, della legge di bilancio. Un puzzle complicato da comporre. Forse anche per questo motivo alcuni partiti, come la Lega ma anche i Dem, preferirebbero giocare un’unica partita sul welfare evitando confronti separati sui singoli interventi. Ma Draghi ha già indicato la sua tabella di marcia: prima gli ammortizzatori, poi il Reddito di cittadinanza e le pensioni.

Sugli ammortizzatori c’è da capire se il conto della riforma scenderà a 5-6 miliardi (comprensivi degli 1,5 miliardi già ricavati con lo stop al cashback) o se rimarrà di 8-10 miliardi (ai quali aggiungere le risorse per il rifinanziamento della Naspi) con una Cig gratis prolungata per le piccolissime aziende, come vorrebbero i Dem, ma non Iv e anche parte del centrodestra, che non la considerano prioritaria. Il Reddito di cittadinanza non scomparirà, anche perché lo stesso Draghi ha lasciato intendere di considerarlo uno strumento utile per il contrasto della povertà, ma cambierà sicuramente volto con controlli rafforzati e un meccanismo più efficace e vincolante di accesso al lavoro. Tra le possibili novità anche una soglia d’accesso più bassa al sussidio per gli stranieri. Resta da vedere se il restyling rispecchierà l’obiettivo fissato dalla Lega di un significativo ridimensionamento del Rdc e in una sua trasformazione in ”reddito da lavoro” o se prevarrà la linea di modifiche soft, caldeggiata da M5S, Leu e Pd. L’altro punto interrogativo è legato alle risorse necessarie per il rifinanziamento che attualmente viaggia sugli oltre 7 miliardi l’anno. E il nodo risorse condizionerà anche il dopo Quota 100. Il Mef propende per una soluzione soft e in sintonia con le richieste della Ue di non appesantire la spesa pensionistica. Ma tutta la maggioranza chiede nuova flessibilità in uscita, che difficilmente potrà essere garantita con una dote minima di 1-1,5 miliardi.

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