Rapporti di lavoro

Nel mirino i rapporti con le società di servizi

di Ambrosi e Iorio

Nel corso dei controlli agli studi professionali vengono in genere approfonditi i rapporti tra il professionista e/o gli associati con l’eventuale società di servizi.

Si tratta di società molto diffuse in ambito professionale cui vengono esternalizzate una o più fasi dei processi interni dello studio (centro elaborazione dati, gestione del personale addetto a mansioni di segreteria, gestione degli immobili, solo per fare degli esempi) per potersi dedicare pienamente all’attività tipica intellettuale.

Poiché in genere queste società sono riconducibili al professionista stesso o a suoi familiari, i verificatori, normalmente, tendono a contestare la deducibilità totale o parziale di questi costi sotto le più svariate forme. Si passa così da un’asserita antieconomicità della spesa, a più generiche rettifiche per assenza di inerenza, per arrivare in alcuni casi addirittura a presunte sovrafatturazioni (con conseguenti risvolti penali) o a comportamenti integranti abuso del diritto.

In alcuni controlli, poi, pur di rettificare questi costi si sommano anche più di una di queste contestazioni, quasi a ritenere che l’enunciazione di più di una “voce”possa rendere più fondato il rilievo, senza rendersi conto, però, che spesso l’una è in antitesi con l’altra, giungendo spesso a una contraddittoria motivazione.

La contestazione sull’antieconomicità si fonda su un consolidato orientamento di legittimità (almeno ai fini delle imposte sui redditi) secondo cui l’amministrazione, anche in presenza di contabilità formalmente regolare, può desumere un maggior reddito individuando nelle anomale scelte dell’imprenditore elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sufficienti a motivare l’ accertamento.

Per queste contestazioni è necessario quanto meno che l’ufficio motivi, anche con confronti esterni il costo eccessivo; poi dovrà essere il professionista a fornire le necessarie indicazioni sulle scelte economiche. Ma in pratica, a volte si tratta soltanto di una semplice convinzione dei verificatori di eccessivo costo con confronti inattendibili (ci sono uffici, ad esempio, che hanno confrontato il differente costo del lavoro dipendente dimenticando il carico degli oneri contributivi e previdenziali).

Spesso poi questa contestazione viene ritenuta una sovrafatturazione che espone il professionista a violazioni penali. Con la sovrafatturazione vengono indicate nel documento fiscale somme superiori al reale al fine di consentire a terzi un beneficio in genere legato alla deduzione del costo. Poiché però una maggiore fatturazione comporta un maggior carico fiscale, normalmente chi emette tali fatture è inesistente, evasore totale o per qualsivoglia ragione beneficia di una imposizione agevolata. Solo così infatti, il ricevente la fattura risparmia le imposte che l’emittente non corrisponde all’erario. Normalmente poi, chi riceve la fattura non corrisponde il prezzo “gonfiato” indicato in fattura, bensì solo il prezzo reale. Quindi una sovrafatturazione non avrebbe senso se nessuno dei partecipanti all’asserito illecito ne trae beneficio.

Se invece l’ufficio contesta l’abuso del diritto sarà opportuno evidenziare che nell’abuso le forme giuridiche utilizzate sono tutte lecite, è il vantaggio fiscale conseguente a risultare illegittimo. Per i rapporti con la società di servizi mancherebbe l’illegittimità visto che il professionista si è rivolto ad una società terza (esistente) anche se riconducibile al professionista o al proprio nucleo familiare che gli fornisce servizi. È importante però che la scelta del prestatore di servizi abbia una logica e magari consenta di conseguire benefici ad esempio di carattere organizzativo, gestionale.

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