Rapporti di lavoro

Il periodo del divieto può servire a trovare soluzioni negoziate

di Marcello Floris

L’articolo 80 del Dl 34/2020 in vigore dal 19 maggio ha modificato l’articolo 46 del Dl 18/2020, portando a cinque mesi - a decorrere dal 17 marzo 2020 - il divieto di attuare licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo secondo la legge 604/1966 e di avviare procedure di licenziamento collettivo secondo gli articoli 4, 5 e 24 della legge 223/1991. Peraltro, è allo studio una possibile proroga del divieto fino al termine dell’anno in corso.

Mentre già si discute dei profili di illegittimità costituzionale di queste norme, gli imprenditori si interrogano su quali possano essere gli eventuali sistemi alternativi alla risoluzione del rapporto, laddove siano costretti a dover ristrutturare la propria forza lavoro o a eliminare una o più posizioni lavorative per motivi economici.

Il divieto di licenziamento introdotto dal Dl Cura-Italia e poi prorogato non si applica ai licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, cioè a quei licenziamenti fondati su gravi o gravissime violazioni dei doveri di legge e di contratto che ledano in modo irrimediabile il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Ugualmente, sono esclusi dal divieto i licenziamenti per scarso rendimento che, per giurisprudenza ormai consolidata sono ritenuti anch’essi di natura disciplinare, quando in particolare basati su valutazione dei risultati del lavoratore comparati con criteri individuabili e oggettivi.

La proposta di un accordo
Le opzioni alternative al licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono dunque molto limitate e la soluzione più praticabile, in assenza di alternative, è quella di ricercare con il lavoratore o i lavoratori coinvolti un accordo per un esodo incentivato. Si tratta quindi di negoziare un’intesa con i dipendenti coinvolti, per incentivarne l’uscita. Anche questa soluzione, tuttavia, non è priva di criticità. In primo luogo perché il datore si pone in una posizione negoziale di minor forza rispetto a quella del licenziamento, esponendosi a rilanci per elevare gli importi richiesti oppure a un diniego tout court del lavoratore.

Nelle ipotesi più conflittuali potrebbero verificarsi anche casi di dipendenti che ricevuta la proposta di risolvere il rapporto si assentino per malattia con l’intento di posticipare l’effetto di un eventuale licenziamento al termine del periodo di comporto.

L’ulteriore controindicazione per i dipendenti deriva dal fatto che, ad esito di una risoluzione consensuale del rapporto, non potrebbero fruire della Naspi, che spetta invece solo a coloro che perdono involontariamente l’occupazione o a coloro che conciliano ad esito della procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevista per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.

Le aziende interessate dalla necessità di ristrutturazioni possono utilizzare il periodo di interdizione dei licenziamenti per anticipare ai lavoratori la necessità di dover procedere alla risoluzione del rapporto e di dover ricercare un accordo in questo senso.

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