Rapporti di lavoro

Vanno contrastati i rapporti irregolari non le forme di buona flessibilità

di Giampiero Falasca

Il contratto a termine e la somministrazione di manodopera sono state interessate negli ultimi due anni (precisamente, dal decreto «dignità» del 2018 in poi) da un maltrattamento legislativo del tutto ingiustificato, che ha avuto e sta avendo come effetto principale l’indebolimento delle forme di “flessibilità regolare” a tutto vantaggio dei contratti meno tutelanti e più esposti al rischio di abusi.

Questo paradossale risultato scaturisce da un indirizzo di politica del lavoro (comune agli ultimi due Governi) basato su un obiettivo del tutto condivisibile – la volontà di contrastare il precariato – ma realizzato colpendo l’obiettivo sbagliato: il problema del precariato esiste, ma assume le forme brutali e fortemente penalizzanti delle false partite Iva, delle collaborazioni irregolari, degli appalti illeciti, fenomeni che proliferano indisturbati nel mercato, generano abusi importanti ma sono sfuggiti, finora, agli occhi del legislatore.

Legislatore che, invece di combattere questi fenomeni, ha colpito con costanza e decisione i rapporti a termine e la somministrazione, forme di lavoro che garantiscono tutte le tutele tipiche del lavoro subordinato (le regole di gestione del rapporto, la previdenza e i contratti collettivi) e non sono soggette a una diffusione illimitata (per via dei limiti quantitativi fissati dalla legge).

Questo errore di prospettiva è ascrivibile principalmente al deceto «dignità» del 2018 (Dl 87/2018), ma la situazione non è migliorata negli ultimi mesi, quando il legislatore è intervenuto piu volte nella materia del lavoro a tempo determinato, mantenendo lo stesso approccio “sospettoso” da cui era scaturito quell’intervento.

Dopo il lockdown, il legislatore ha risposto in maniera deludente alla richiesta delle imprese di avere maggiore flessibilità nell’utilizzo o del lavoro a tempo: richiesta che si è tradotta, in maniera specifica, nell’aspettativa di un alleggerimento, almeno per il periodo di ripresa post pandemia, dell’obbligo di indicare le causali in caso di rinnovo o di proroga lunga dei rapporti flessibili.

La risposta a questa aspettativa, come si diceva, è stata inizialmente deludente, perché con il Decreto Rilancio è stata riconosciuta una deroga limitatissima e insufficiente alla regola sulle causali. Peraltro, questa è stata accompagnata da una vera e propria beffa, la norma spuntata in sede di conversione del decreto Rilancio che ha imposto la proroga automatica di tutti i rapporti a termine interessati dal ricorso agli ammortizzatori sociali (per un periodo pari alla durata di collocamento in cassa integrazione).

La combinazione di questi due interventi ha generato situazioni paradossali. Ci sono imprese prive di lavoro o addirittura chiuse per inattività che si trovano obbligate ad allungare dei rapporti a tempo, e ci sono altre imprese che avrebbero bisogno di rinnovare alcuni rapporti a termine ma non lo possono fare perché devono rispettare le strette e inapplicabili “causali” introdotte dal decreto «dignità».

Mentre accade tutto questo, i contratti precari hanno continuato indisturbati la loro galoppata nel mercato del lavoro senza trovare alcuna specifica misura di contrasto (le uniche novità in chiave anti fraudolenta sono state generate dalla giurisprudenza, che ha valorizzato le regole introdotte dal Jobs Act sulle collaborazioni coordinate e continuative).

È evidente che serve un cambio radicale di impostazione, investendo con decisione sulla sospensione delle causali e cancellando la norma sulla proroga automatica dei rapporti a termine. I segnali contenuti nel decreto Agosto sono molto incoraggianti, ma devono trovare conferma definitiva ed essere accompagnati da un'azione decisa e strutturale di contrasto ai tanti contratti irregolari usati per mascherare la subordinazione e negare diritti e tutele.

Solo in questo modo si potrà tutelare davvero la dignità del lavoro.

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