Rapporti di lavoro

L’accordo sindacale mette in salvo il recesso

di A.Zam.

Il decreto Agosto individua una serie di ipotesi in cui non è applicabile il divieto di licenziamento. Innanzitutto il divieto di licenziamento è escluso in caso di “cambio appalto”, ovvero quando «il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro del nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto». Tale ipotesi di esclusione era già stata prevista dal Cura Italia, ed è stata semplicemente confermata.

Il divieto, inoltre, non trova applicazione neppure nei casi di «licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale dell’attività» - sempre che in ciò non sia configurabile «un trasferimento d’azienda o di ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile» - e di «licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione» (con la precisazione che nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo di azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso). È facile rilevare per entrambe le ipotesi la sostanziale analogia del venir meno del soggetto imprenditoriale, sia pure in bonis nella prima fattispecie.

Il divieto di licenziamento, infine, è escluso in caso di «accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo», facendo salvo il diritto di questi ultimi all’indennità di disoccupazione (Naspi). Ne consegue che solo le OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale (e non anche le rispettive Rsa/Rsu) sono legittimate a stipulare tali intese sindacali con i datori, accordi che peraltro non sembrano coincidere con quelli di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223/91 previsti per le procedure di licenziamento collettivo. Questa rappresenta la più interessante fattispecie fra le ipotesi di esclusione dal divieto di licenziamento per ragioni economiche. E infatti, pur trattandosi della via di più difficile realizzazione (presuppone un’intesa con i sindacati e poi l’adesione del lavoratore), potrebbe rilevarsi un valido strumento per consentire alle imprese di attuare processi di riorganizzazione “su base volontaria”. Di fatto si è “istituzionalizzato” tramite il canale sindacale ciò che già veniva realizzato a livello individuale, laddove in vigenza del divieto è sempre stata ammessa la possibilità per le parti di concludere accordi transattivi, anche a seguito di licenziamenti intimati in violazione del divieto, senza che da ciò potesse derivare la perdita della Naspi per il dipendente, come, peraltro, chiarito dall’Inps con il messaggio n. 2261/2020.

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