Rapporti di lavoro

Licenziamenti economici: rischio stop per tutto l’anno

di Daniele Colombo

Fino al 31 dicembre 2020 le aziende rischiano di non poter procedere a licenziamenti collettivi o per giustificato motivo oggettivo, salvo alcune eccezioni espressamente previste dal decreto Agosto (Dl 104/2020, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 14 agosto e in vigore dal 15 agosto, ora all’esame del Senato per la conversione in legge). Il decreto ha prorogato il blocco dei licenziamenti già previsto dal decreto “Cura Italia” e che sarebbe scaduto il 17 agosto 2020.

Diversamente dal divieto generalizzato previsto dal Dl 18/2020, il nuovo divieto è ora prorogato con modalità diverse, legate all’utilizzo delle nuove 18 settimane di cassa integrazione o, in alternativa, dell’esonero contributivo riconosciuto a chi non intenda chiedere la nuova cassa integrazione Covid-19.

La proroga del divieto, è bene ribadirlo, non riguarda tutte le tipologie di licenziamento, ma solo le procedure di licenziamento collettivo (restano sospese le procedure avviate a partire dal 24 febbraio 2020) e i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero degli occupati (sono sospese le procedure previste dall’articolo 7 della legge 604/1966).

Tutte le altre tipologie di licenziamento (come ad esempio quelli per giusta causa) rimangono (e rimanevano) fuori del periodo di sospensione.

Stop al recesso con la cassa
L’azienda che chieda gli ammortizzatori sociali per far fronte alla situazione di crisi (18 settimane divise in due blocchi da nove settimane ciascuno) potrà procedere a licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo solo dopo aver integralmente fruito delle 18 settimane di cassa, utilizzabili fra il 13 luglio e il 31 dicembre 2020. Supponendo di usare le 18 settimane di cassa in via continuativa dal 13 luglio, il divieto cesserebbe il 16 novembre prossimo.

Se invece l’impresa non intende utilizzare il nuovo periodo di Cig-Covid e ha già usufruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei precedenti trattamenti di integrazione salariale, è riconosciuto un esonero dal versamento dei contributi previdenziali per un periodo pari al doppio delle ore di cassa integrazione usate nei mesi di maggio e giugno 2020, fino a un massimo di quattro mesi. In questo caso, è possibile procedere ai licenziamenti al termine del periodo di esonero contributivo.

È dubbio se possano procedere ai licenziamenti le aziende che decidano di non usufruire né della cassa integrazione, né dell’esonero contributivo. Da un lato, il tenore letterale della norma e il suo scopo depongono per una estensione del divieto. Dall’altro lato, sarebbe – in concreto – paradossale imporre il divieto di licenziamento alle aziende che non utilizzano risorse pubbliche per fronteggiare la crisi. Su questo punto, sarebbe dunque auspicabile un intervento chiarificatore del Parlamento in sede di conversione del decreto 104/2020.

In ogni caso, tenuto conto dello scopo della norma, in attesa di maggiori chiarimenti, è prudenziale attendere il 31 dicembre 2020 per procedere con licenziamenti economici, sia individuali (per giustificato motivo oggettivo), sia collettivi.

Quando non opera il divieto
La sospensione dei recessi non opera in caso di cambio appalto, se il nuovo appaltatore assume il personale già in forza presso il precedente datore in forza di una norma di legge (ad esempio, l’articolo 50 del Codice degli appalti), in forza di un contratto collettivo (ad esempio, l'articolo 4 del Ccnl multiservizi) o in base a una clausola del contratto di appalto.

I licenziamenti (collettivi o per giustificato motivo oggettivo) sono possibili in caso di fallimento senza continuazione, anche parziale, dell’attività, ovvero in caso di cessazione completa dell’attività dell’azienda (e non delle singole unità produttive), salvo che non si configuri un trasferimento di azienda o di un suo ramo ex articolo 2112 del Codice civile.

Infine, sono consentite in questo periodo di sospensione anche le risoluzioni conseguenti a un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevedano uscite incentivate, limitatamente ai lavoratori che aderiscono a questo accordo (in questo caso, è riconosciuta al lavoratore la Naspi, si veda l’approfondimento sul Sole 24 Ore del 31 agosto).

L’accordo collettivo aziendale potrebbe essere usato da tutte le aziende, anche di piccole dimensioni, oltre che riguardare una divisione, un settore o un reparto oggetto di riorganizzazione e/o ristrutturazione.
Leggi quando opera il divieto di licenziamento (e quando no)

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