Rapporti di lavoro

I contratti collettivi disegnano i confini del lavoro notturno

di Giampiero Falasca

Con nota del 26 novembre l'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) ha fornito alcuni importanti chiarimenti sulla definizione del lavoratore notturno, una questione che ha importanti ricadute sul trattamento economico e normativo applicabile.

Il tema è disciplinato dall'articolo 1, comma 2, del Dlgs 66/2003, che definisce anzitutto la nozione di “periodo notturno”, da intendersi come quello di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino (possono, quindi, ricadere nella nozione le ore ricadenti dalle 22 sino alle 5, dalle 23 sino alle 6 o dalle 24 sino alle 7). Quanto alla definizione di “lavoratore notturno”, il decreto include nella categoria qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale, oppure qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi.

La nota dell'Ispettorato ricorda una regola importante: se manca una normativa collettiva, va ricondotto nella categoria del lavoratore notturno chi svolge per almeno tre ore “lavoro notturno” per almeno 80 giorni lavorativi all'anno (limite da riproporzionare in caso di part time).

Rispetto a tale principio, l'Inl chiarisce che va considerato lavoratore notturno colui che è tenuto contrattualmente, e quindi stabilmente, a svolgere tre ore nel periodo notturno, inteso come l'arco temporale già ricordato (l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino). Tuttavia, se esiste una regolamentazione della contrattazione collettiva, si considera lavoratore notturno colui il quale svolga, nel periodo notturno, la parte di orario di lavoro individuato dalle disposizioni dell’accordo collettivo. In tale ipotesi, quindi, il contratto ha un doppio compito: individua il numero delle ore giornaliere da effettuarsi durante il periodo notturno (che potrebbe pertanto essere inferiore o superiore alle tre stabilite ex lege) e fissa il numero delle giornate necessarie per rientrare nella categoria di “lavoratore notturno”.

La nota precisa che, laddove la contrattazione si limiti a riproporre il testo legale, senza specificare il numero di ore rilevanti ai fini della qualificazione come “lavoratore notturno”, troverà applicazione la disciplina normativa (tre ore nel periodo notturno per 80 giorni l'anno). Se, invece, manca una disciplina collettiva, si considera lavoratore notturno chi svolge almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero durante il periodo notturno per almeno 80 giorni lavorativi all'anno.

L’ispettorato ricorda, infine, che il limite massimo giornaliero di otto ore si applica solo ai lavoratori in possesso dei requisiti legali o contrattuali per essere definiti “notturni”; questo limite non è, quindi, applicabile a qualsivoglia lavoratore che svolga di notte parte del suo orario di lavoro.

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