Rapporti di lavoro

Lo tsunami sulle tasche delle donne: è più povera (e precaria) una su due

di Flavia Landolfi

Più povere, precarie e sovraccariche di lavoro di cura, vere e proprie ammortizzatrici sociali di un Paese che non sa costruire reti di servizi, a partire dagli asili nido per finire all’assistenza degli anziani. È qui, sulle donne che la pandemia ha colpito più duro. Ed è qui che lo tsunami economico ha eroso redditi e lavoro femminile, perfino quello sommerso. Al punto da coniare il termine “Shecession”, la recessione economica tutta declinata al femminile che si trascina da anni, spesso sotto traccia, e che ora è esplosa con numeri da record

A confermare il fenomeno è l’indagine «La condizione economica femminile in epoca di Covid-19» elaborata da Ipsos per conto di WeWorld, l’associazione indipendente che opera in Italia e nel mondo per la tutela di donne e bambini. La ricerca, che sarà presentata il 4 marzo nel corso del WeWorld Festival, ha raccolto le risposte di 1000 donne. E le risposte sono drammatiche: il 54% ha subito nel 2020 una perdita secca di reddito.

L’avanzata della povertà

Il dato va drammaticamente in coppia con quello che l’Istat ha pubblicato nei primi giorni di febbraio. Sono i numeri consegnati dalla fotografia sull’emorragia occupazionale che l’istituto nazionale di statistica ha conteggiato in un anno, da dicembre 2019 allo stesso mese dell’anno successivo: 444mila posti di lavoro andati in fumo di cui 312mila occupati da donne. L’indagine Ipsos aggiunge un altro tassello: la perdità di potere economico nel corso del 2020. In tutte le fasce di età e da Nord a Sud dello stivale, una donna su due dichiara una diminuzione delle proprie entrate economiche che va da meno del 20% a più del 50 per cento, con uno zoccolo duro del 21% concentrato in minori entrate tra il 20 e il 50 per cento. «È la stessa percezione che arriva dai nostri operatori e operatrici sul campo e dalle tante richieste di aiuto arrivate - spiega Marco Chiesara, presidente di WeWorld - : donne lasciate sole, a far fronte a un carico enorme dal punto di vista familiare, professionale e psicologico. Questa situazione ha accomunato tutte le donne italiane, ma diventa drammatica se si guarda alle aree più marginali e alle periferie: è da qui che bisogna partire, con urgenza, per invertire la rotta».

Giovani e autonome sotto tiro

Le fasce più colpite sono quelle tra i 25 e i 34 anni (63%) e quelle tra i 45 e i 54 anni (60 per cento). Venendo poi alla condizione familiare, a guidare la classifica dell’impoverimento con un 60% di risposte sono le donne non occupate con figli minori di 26 anni. «È un dato che accende diverse spie di allarme - dice Elena Caneva, coordinatrice del Centro studi di WeWorld - il che ci segnala da un lato una preoccupante dipendenza economica dal partner di una parte di loro, dall’altra un forte impatto della pandemia sul lavoro sommerso, soprattutto quello di cura e assistenza domestica tra chi oggi non ha un’occupazione». Le lavoratrici messe più a dura prova dalla crisi scatenata dalla pandemia, poi, sono le autonome: il 79% per cento ha denunciato perdita di reddito, seguito a ruota dalle imprenditrici e dalle professioniste che rappresentano il 63% del campione più colpito.

Il riflesso è anche quello della precarietà. Il 50% del campione dice di sentirsi economicamente instabile e il 42% ha dichiarato di dipendendere economicamente da altri. Risultato? Il timore di perdere il lavoro per una donna su due e il “divieto” di sobbarcarsi spese impreviste per il 38%. In definitiva, solo un privilegiato 36% ha affermato di non aver subito alcun effetto economico negativo.

Ammortizzatrici sociali

Il paradosso si chiama attività di cura, per cui a fronte di una considerevola perdita economica le donne sono investite da più carichi familiari, spesso in totale solitudine. Un buon 38% delle donne (2 su 5) dichiara di farsi carico da sole di persone non autosufficienti (anziani o bambini): ma è un dato falsato dalla media anagrafica. In realtà tra le donne con figli con o senza lavoro va ben oltre il 50% e vale rispettivamente il 56% e il 53 per cento.

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