Agevolazioni

No al regime espatriati per chi è stato distaccato al momento dell'assunzione

di Antonio Longo

Non basta il distacco all’estero contestuale alla prima assunzione per consentire al manager che rientra in Italia dopo molti anni di beneficiare del regime “impatriati”. Si è espressa in questi termini l'agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello 119/2022 di ieri.
Il caso riguarda un dirigente di una società italiana assunto nel 2014 come responsabile della filiale di New York e contestualmente distaccato all’estero per un periodo iniziale di 3 anni. La società datrice di lavoro, in vista del rientro in Italia del manager (ancora distaccato in virtù di successive proroghe), chiedeva chiarimenti circa l’applicabilità del regime fiscale per i lavoratori “impatriati” (articolo 16 del Dlgs 147/2015).

La disciplina in questione si rivolge a chi trasferisce la residenza fiscale nel territorio dello Stato, non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno 2 anni svolgendovi la propria attività lavorativa. L’agevolazione consente una detassazione del reddito di lavoro dipendente nella misura del 70% ed è efficace per un quinquennio, con possibilità di proroga per ulteriori 5 anni al ricorrere di alcune condizioni. La compatibilità del distacco con il regime impatriati genera una ampia casistica di interesse per le multinazionali, anche in considerazione dell'assenza di riferimenti normativi espressi. Sul punto è però intervenuta l'agenzia delle Entrate, da ultimo, con la circolare 33/E/2020.

Secondo l'interpretazione del Fisco, nell’ipotesi di distacco all’estero il beneficio fiscale non spetterebbe in presenza, al rientro, del medesimo contratto di lavoro con lo stesso datore di lavoro. Si tratta di una posizione restrittiva, che va oltre il dettato della legge e che l'Agenzia giustifica per evitare un uso “strumentale” degli incentivi. Diversamente, è la stessa prassi ad ammettere la possibilità di valutare positivamente quelle specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non è conseguenza della naturale scadenza del distacco ma è legato ad una “nuova” attività lavorativa, per via della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro con un diverso ruolo aziendale e una diversa retribuzione.

Tra gli ulteriori elementi rilevanti ai fini della “continuità” (o meno) del rapporto è stato segnalato il riconoscimento delle ferie e dell'anzianità dalla prima assunzione, così come l'assenza del periodo di prova o la presenza di clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima maturati nonché il Tfr alla data di sottoscrizione del nuovo accordo. Il caso oggetto dell'interpello è specifico in quanto riguarda la posizione di un dirigente il cui distacco estero è stato contestuale all’inizio del rapporto di lavoro. E' verosimile che questa persona abbia risieduto e lavorato continuativamente all'estero dal 2014, circostanze che risultano in linea con lo spirito della disciplina di favore (oltre che con il dato normativo). Ciononostante il parere delle Entrate è negativo, in quanto è stata data rilevanza all'elemento formale consistente nel fatto che, al rientro in Italia, il rapporto di lavoro sarebbe stato regolato dal medesimo contratto concluso al momento dell’assunzione.

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