Contenzioso

Collocamento obbligatorio, la prova della mancata assunzione è a carico del datore di lavoro

di Silvano Imbriaci

Ai fini dell'assunzione del centralinista non vedente, secondo quanto disposto dalla legge 29 marzo 1985, n. 113 (articoli 1-5), il lavoratore è tenuto a dimostrare solamente il possesso dell'iscrizione nell'albo professionale dei centralinisti telefonici privi della vista, nonché la sussistenza dell'atto di avviamento al lavoro, spettando invece al datore di lavoro l'eventuale contestazione (e relativa prova) degli altri elementi indicati dalla legge per l'avviamento al lavoro, quali, ad esempio, la natura dell'impianto telefonico o del centralino, ai fini dell'esclusione o dell'impedimento dell'obbligo di assunzione.

È questo il principio che emerge dalla sentenza della sezione Lavoro della Suprema corte n. 2383/2015, chiamata a pronunciarsi in merito ad una vicenda riguardante la (contestata) costituzione di un rapporto di lavoro tra un istituto scolastico e un lavoratore non vedente con mansioni di centralinista telefonico.

La legge 29 marzo 1985, n. 113 (recante l' ”Aggiornamento della disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti”), nello stabilire gli obblighi a carico dei datori di lavoro (pubblici e privati) nel procedimento di assunzione di questi lavoratori, individua un requisito fondamentale rappresentato nella struttura del centralino che deve essere tecnicamente tale da prevedere, e rendere necessario per il suo funzionamento, l'impiego di uno o più posti operatore.

La vicenda che qui interessa riguarda una pubblica amministrazione; in questo caso ai datori di lavoro pubblici la normativa in questione impone, ai fini dell'assunzione, o l'esperimento di un concorso riservato ai soli non vedenti o una semplice richiesta numerica. I centralinisti che sono in possesso dei requisiti richiesti dalle amministrazioni di destinazione hanno diritto all'assunzione, salvo il limite di età e il titolo di studio. Le evidenti finalità di protezione di questi lavoratori e di agevolazione nell'ingresso nel mondo del lavoro, si traducono in un sostanziale obbligo a contrarre a carico del datore di lavoro (pubblico o privato), e nell' applicazione, in caso di indebito rifiuto di assumere un soggetto non vedente legittimamente avviato al lavoro, del rimedio di cui all'articolo 2932 del codice civile (esecuzione in forma specifica mediante sentenza idonea a produrre gli effetti del contratto non concluso, essendo ciò possibile a causa della predeterminazione per legge della qualifica, delle mansioni e del trattamento economico spettante).
La questione che ha spinto la Cassazione a pronunciarsi sulla ripartizione dell'onere probatorio riguarda la natura del centralino telefonico, secondo le specifiche tecniche individuate dall'articolo 3, comma 1, della legge 113/1985. Premesso che questo elemento rappresenta un fatto storico il cui accertamento è riservato al solo giudice di merito, la Corte ribadisce comunque che l'assenza delle specifiche tecniche necessarie a permettere l'assunzione del centralinista non vedente costituisce un mero fatto impeditivo del diritto, e non un fatto costitutivo dello stesso. Si tratta di un elemento presupposto all'atto di avviamento e, per questo, non ricompreso nell'ambito degli oneri probatori a carico del lavoratore, al quale basterà dimostrare, ai fini dell'assunzione, una volta avviato al lavoro, l'iscrizione nell'albo professionale dei centralinisti non vedenti e, appunto, l'atto di avviamento al lavoro. Dal canto suo, il datore di lavoro non potrà limitarsi ad una mera contestazione circa la mancata prova dei requisiti tecnici richiesti dalla legge per la struttura centralino ai fini dell'assunzione: dovrà egli stesso dedurre specifiche circostanze dalle quali evincere con sicurezza l'assenza di un centralino dotato delle caratteristiche richieste dalla legge per l'assunzione del lavoratore non vedente e, soprattutto, fornirne la relativa prova (ad esempio la dimostrazione di un funzionamento automatico del centralino o della dotazione di sistemi di collegamento automatici, circostanze che nel caso specifico non erano state né allegate né oggetto di specifiche richieste istruttorie).
Un'ultima questione riguarda l'entità del risarcimento dei danni spettanti al lavoratore in caso di mancata indebita assunzione. Il datore di lavoro è tenuto in questo caso a risarcire l'intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore ha subito per tutto il periodo in cui si è protratto l'inadempimento, pregiudizio ravvisabile nell'ammontare dello stipendio che il lavoratore avrebbe potuto conseguire ove fosse stato tempestivamente assunto (salva la prova, a carico del datore di lavoro, dell'aliunde perceptum). Il termine finale è rappresentato non dalla effettiva immissione in servizio, quanto dalla pronuncia definitiva di merito, dal momento che, per il periodo successivo, manca il requisito dell'attualità e della certezza dell'evento lesivo rappresentato dal perdurante stato di disoccupazione

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