Contenzioso

Quando il recesso è antisindacale contributi da versare

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

A seguito del decreto del Tribunale che ha dichiarato la antisindacalità del comportamento datoriale consistito nel licenziamento di tre dipendenti, i contributi all’ente previdenziale sono dovuti anche in relazione al periodo successivo alla pronuncia giudiziale e precedente all’effettiva reintegrazione in servizio, quand’anche i lavoratori non abbiano reso alcuna prestazione lavorativa e non siano stati retribuiti nel suddetto periodo, né abbiamo autonomamente impugnato i licenziamenti.

La Corte di cassazione ha raggiunto questa conclusione con la sentenza n. 4899 del 27 febbraio 2017, osservando che il licenziamento determinato da motivi sindacali è radicalmente nullo e non è idoneo, in quanto tale, a determinare l’estinzione del rapporto di lavoro, conseguendone il permanere di tutte le obbligazioni, incluse quelle contributive, a carico del datore di lavoro. Ciò, a prescindere dal fatto che i lavoratori non abbiano impugnato il licenziamento e non abbiamo ricevuto la retribuzione nell’intervallo tra il decreto e la reintegrazione.

Ribadisce, in altri termini, la Cassazione che il licenziamento nullo - perché intimato per ragioni di natura antisindacale - non è idoneo a determinare l’interruzione del rapporto di lavoro e, per l’effetto, l’Inps è legittimato a richiedere il versamento dei contributi anche in relazione al periodo eventualmente non lavorato da parte dei lavoratori, né ad essi retribuito.

Non rileva, in contrario avviso, la circostanza che nel periodo compreso tra il decreto del Tribunale dichiarativo della condotta antisindacale e la successiva reintegrazione in servizio dei tre dipendenti non sia stata resa la prestazione lavorativa e neppure versata dal datore di lavoro la retribuzione, in quanto il rapporto assicurativo non è direttamente influenzato dalle vicende successive alla costituzione del rapporto di lavoro.

La Cassazione osserva che l’inciso con il quale l’articolo 12 della Legge 153/1969 definisce la retribuzione imponibile («tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro») va inteso in senso lato come «tutto ciò che ha diritto di ricevere». In questa formulazione omnicomprensiva, ad avviso dei giudici di legittimità, vanno ricompresi gli obblighi contributivi connessi alle retribuzioni non percepite dal lavoratore.

In forza di questo iter argomentativo la Cassazione conclude che la situazione di fatto che si produce per effetto di un licenziamento nullo, al quale non abbia fatto seguito la messa in mora da parte del lavoratore, deve essere accostato ad una sospensione unilaterale della prestazione lavorativa imputabile al datore di lavoro in assenza dei presupposti di legge. Da tale premessa consegue che, poiché la mancata prestazione lavorativa è riconducibile ad un inadempimento del datore di lavoro, l’obbligo contributivo permane anche se il lavoratore non ha ricevuto il versamento di alcuna retribuzione.

La declaratoria della condotta antisindacale consistita nel licenziamento di alcuni lavorativi produce, quindi, l’automatico diritto dell’Inps ai contributi, a prescindere dal fatto che nelle more i lavoratori non abbiano reso la prestazione lavorativa né abbiamo impugnato il provvedimento espulsivo.

La sentenza 4899/17 della Corte di cassazione

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