Contenzioso

La deposizione testimoniale del familiare è attendibile

di Alberto De Luca e Antonella Iacobellis

È ricorrente il dibattito sull'attendibilità delle testimonianze di familiari, potendosi ritenere esistente e influente un loro interesse personale per l'esito del giudizio nel quale siano chiamati a deporre.
In questo senso, la Cassazione è tornata ad affrontare il tema con la sentenza n. 2295 del 2 febbraio 2021, avendo avuto modo di ribadire che, in tema di prova testimoniale, non esiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia con una delle parti processuali un vincolo di parentela o coniugale, non potendo l'attendibilità del testimone essere esclusa aprioristicamente, senza altri elementi da cui il giudice possa desumere una qualche forma di perdita di credibilità.
Questo principio è stato ribadito dalla Corte nel giudizio di impugnazione della sentenza della Corte d'appello di Milano che (in linea con la decisione del primo grado) aveva confermato il diritto di una lavoratrice a differenze retributive e contributive, accertato sulla base di prove testimoniali ammesse dal giudice con espressa esclusione di soggetti parenti o affini alle parti, ritenendo ricorrere «maggiore attendibilità dei soggetti estranei alla sfera familiare delle contendenti».
Parte datoriale proponeva ricorso per Cassazione adducendo, tra i motivi di censura, il vizio incorso dal giudice di prime cure «nella parte in cui ha ridotto la lista testimoniale della ricorrente, escludendo dalla stessa le persone legate alla parte».
In questo modo, proseguiva la censura, «la sentenza si porrebbe in contrasto con l'art. 244 c.p.c. , che non vieta l'esame di persone legate da rapporti di parentela con le parti del processo, salvo le ipotesi di cui all'art. 246 c.p.c. ; sotto diverso profilo, la statuizione risulterebbe viziata in ragione di una aprioristica valutazione di inattendibilità di dette persone».
La Corte di legittimità ha ritenuto fondato questo motivo di censura, precisando che la decisione di escludere, dai testimoni ammessi, parenti o affini delle parti non può ritenersi esente da vizi. La Cassazione ha precisato, inoltre, che, venuto meno il divieto di testimonianza per parenti e affini (articolo 247 del Codice di procedura civile ), i soggetti che legati alle parti processuali da vincoli di parentela o affinità possono essere sentiti in qualità di testimoni, restando ovviamente salva la libera valutazione di attendibilità (al di là delle residue ipotesi di incompatibilità di cui all'articolo 246 del Codice di procedura civile).
Allineandosi al consolidato orientamento in materia, la Corte è precisato che non sussiste «alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti (…) in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità» (così Cass. n. 25358 del 2015, Cass. n. 1109 del 2006, Cass. n. 12365 del 2006, Cass. n. 4202 del 2011, Cass. n. 25549 del 2007).
In accoglimento del motivo qui esaminato (assorbente rispetto alle altre questioni di legittimità sollevate), la sentenza della Corte territoriale veniva cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, per procedere ad un nuovo esame della fattispecie concreta, nel rispetto degli esposti principi.

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