Contenzioso

Giudice del lavoro e giudice fallimentare: il riparto delle competenze

di Marco Tesoro

La domanda di accertamento del diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al cessionario – che fallisce nelle more del giudizio – rientra nella cognizione del giudice del lavoro quando non è strumentale alle (pur contestuali) domande per differenze retributive e risarcitorie.
È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 23528 del 27 agosto 2021, a valle di una lunga disamina sulla non sempre agevole distinzione tra la cognizione del giudice del lavoro e quella del giudice fallimentare.
Il caso trae origine dal ricorso di una lavoratrice per l'accertamento del trasferimento del ramo d'azienda al quale era adibita, con conseguente prosecuzione del suo rapporto di lavoro in capo al cessionario – fallito nelle more del giudizio – nonché per le differenze retributive tra quanto avrebbe percepito alle dipendenze del cessionario e quanto ricevuto a titolo di Cigs rimanendo alle dipendenze del cedente, oltre al risarcimento del danno professionale.
Nelle more dell'interruzione del giudizio a causa del fallimento del cessionario, il medesimo ramo d'azienda veniva ceduto a un'altra società e quindi il giudizio veniva riassunto anche nei confronti di quest'ultima, a sua volta poi dichiarata fallita.
La Corte d'appello dichiarava improcedibili le domande di accertamento del diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro azionate dalla lavoratrice nei confronti della due cessionarie, sostenendo che fossero strumentali alla condanna delle convenute al pagamento delle differenze retributive e pertanto di competenza del giudice fallimentare.
Investita della questione, la Cassazione offre una più approfondita disamina sulla relazione tra le diverse domande azionate dalla ricorrente, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle della Corte di merito.
La Suprema Corte ricorda che il discrimine tra la sfera di cognizione del giudice del lavoro e del giudice fallimentare è tracciato sulla base delle rispettive prerogative.
Quelle del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e quindi delle controversie aventi a oggetto lo status del lavoratore «in riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e della sua corretta qualificazione e qualità». Quelle del giudice fallimentare, quale giudice del concorso «nel senso dell'accertamento e della qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso» con effetti endoconcorsuali ovvero destinati comunque a incidere sulla procedura concorsuale.
Stabilito il rispettivo ambito di cognizione, la Corte sottolinea la diversità di causa petendi e di petitum tra le domande riguardanti il rapporto di lavoro, di spettanza del giudice del lavoro e le domande di ammissione al passivo, di spettanza del giudice fallimentare.
In particolare, sotto il profilo della causa petendi, gli Ermellini precisano che nelle domande riguardanti il rapporto «rileva un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all'interno dell'impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell'attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio», mentre nelle domande di ammissione al passivo rileva solo «la strumentalità dell'accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito».
Sotto il profilo del petitum, la cognizione spetta al giudice del lavoro per le domande dei lavoratori miranti a pronunce di mero accertamento o costitutive, mentre spetta al giudice fallimentare per le domande dirette alla realizzazione di diritti di credito a contenuto patrimoniale, anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale.
Analizzando il caso di specie in virtù dei principi sopra esposti, la Corte rileva come la domanda della ricorrente involga la persistente vigenza del rapporto di lavoro – parzialmente mutato negli elementi soggettivi (datoriali) – e non sia meramente strumentale alla pronuncia di una sentenza di condanna patrimoniale, ma riguardi lo status della lavoratrice, cioè la sua condizione di dipendente di una determinata società.
Di conseguenza, la domanda della lavoratrice di accertamento della cessione del ramo al quale era adibita e di continuità del rapporto con il cessionario rientra nella competenza del giudice del lavoro, in quanto finalizzata alla tutela della sua posizione all'interno dell'impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell'attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali (la domanda risarcitoria) e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio.

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