Contenzioso

Trasferimento d’azienda illegittimo, rapporti di lavoro de iure e de facto

È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26262 del 28 settembre 2021

di Marco Tesoro

In caso di trasferimento d'azienda illegittimo, il rapporto di lavoro tra dipendenti ceduti e cessionario è instaurato in via di mero fatto, quindi le vicende risolutive dello stesso non incidono sul rapporto giuridico, ancora in essere, con il cedente.

È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26262 del 28 settembre 2021.

Il caso trae origine da un trasferimento di ramo d'azienda la cui validità veniva contestata dai dipendenti ceduti, che per l'effetto chiedevano la riammissione in servizio presso la cedente e il pagamento delle retribuzioni maturate e non percepite a partire dalla data di trasferimento.

Il Tribunale accoglieva le domande dei ricorrenti, condannava la cedente a riammettere in servizio i lavoratori ed emetteva altresì i decreti ingiuntivi richiesti per i relativi crediti retributivi.

La società cedente proponeva appello e nelle more dei giudizi i lavoratori ceduti venivano licenziati dal cessionario, impugnavano i licenziamenti e conciliavano la relativa causa, con conseguente rinuncia all'impugnazione e risoluzione del rapporto lavorativo originato dalla cessione e rinuncia ad ogni pretesa economica anteriore ad esso. La Corte d'Appello, sul presupposto di unicità del rapporto di lavoro, revocava i decreti ingiuntivi e dichiarava la sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire dei lavoratori per effetto della conciliazione.

I lavoratori ricorrevano in Cassazione, contestando in primis l'assunto della Corte distrettuale sull'unicità del rapporto di lavoro nonostante l'accertata invalidità del trasferimento d'azienda.

Sul punto, la cassazione ha accolto in pieno la tesi dei ricorrenti.

A tal proposito, la Corte ha richiamato il proprio consolidato orientamento per cui «soltanto un legittimo trasferimento d'azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all'art. 2112 c.c.».

Di conseguenza, l'unicità del rapporto viene meno quando, come nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato illegittimo, stante l'instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto alle cui dipendenze il lavoratore di fatto continui a lavorare.Invero, una volta che sia accertata l'invalidità del trasferimento, «il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l'illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale), determinandosi il trasferimento del medesimo rapporto solo quando si perfezioni una fattispecie traslativa conforme al modello legale».

È per questo motivo che i successivi licenziamenti intimati dal cessionario, la loro impugnazione da parte dei dipendenti ceduti e le relative conciliazioni non hanno alcuna conseguenza sui rapporti con il cedente.

Per gli Ermellini, in caso di trasferimento illegittimo per carenza dei requisiti ex art. 2112 cod. civ. o inconfigurabilità di una cessione negoziale in assenza del consenso del lavoratore ceduto, il rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità del cedente. In tal caso, pur in presenza di una prestazione apparentemente unica, i rapporti di lavoro sono due: «uno, de iure, ripristinato nei confronti dell'originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l'altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa», con conseguente ininfluenza delle vicende riguardanti un tale distinto e diverso rapporto su quello con la cedente, ancorché quiescente.

Accanto alla prestazione materialmente resa in favore del cessionario, infatti, «ve n'è un'altra giuridicamente resa in favore dell'originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per il rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto».

La fondatezza del primo motivo di ricorso ha comportato l'assorbimento di tutti gli altri, in quanto formulati nella prospettazione dell'unicità del rapporto.

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