Contenzioso

Solo quattro deroghe al principio di consumazione del potere disciplinare

di Valeria Zeppilli

Il principio di consumazione del potere disciplinare rappresenta una regola di carattere generale che connota il nostro ordinamento giuslavoristico. Anch'essa, tuttavia, può essere derogata in alcune eccezionali ipotesi, riepilogate dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, sentenza 25901/2021).

Per comprendere bene di cosa stiamo parlando, chiariamo preliminarmente che la questione attiene al principio, consolidato nel lavoro privato ed estensibile al pubblico impiego, in forza del quale il potere disciplinare che sia stato esercitato con applicazione di una sanzione non possa essere reiterato per il medesimo fatto. La consumazione opera anche se la sanzione applicata, alla luce di ulteriori circostanze, appaia di minore entità rispetto a quella poi risultata applicabile.

La prima, ovvia, eccezione a tale principio si ha nel caso in cui la prima sanzione sia stata annullata per ragioni procedurali o formali.

Nel lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione si configurano tre ulteriori ipotesi in cui la conservazione del potere disciplinare cede il passo a principi ritenuti più rilevanti dal nostro ordinamento e che superano anche l'ormai consolidata autonomizzazione del procedimento disciplinare rispetto a quello penale. In particolare, secondo quanto stabilito dall'articolo 55-ter del Dlgs 165/2001, la conclusione del processo penale in senso difforme rispetto agli esiti di un procedimento disciplinare già concluso è destinata a produrre effetto su quest'ultimo nelle seguenti ipotesi. Innanzitutto, se il processo penale termina con una sentenza irrevocabile di assoluzione del dipendente, motivata dall'insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, dalla sua irrilevanza penale o dalla sua non imputabilità all'incolpato, il procedimento disciplinare deve essere riaperto al fine di adeguarne gli esiti a quanto statuito in sede penale.

In secondo luogo, se il procedimento penale si conclude con sentenza irrevocabile di condanna basata su fatti che avevano determinato la definizione per archiviazione in sede disciplinare, quest'ultimo procedimento deve essere riaperto.

Infine, la riapertura della procedura disciplinare va disposta laddove il fatto addebitabile al dipendente, da come risulta da una sentenza irrevocabile di condanna, avrebbe comportato la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.

Tali eccezioni alla regola del ne bis in idem nel pubblico impiego sono funzionali ad adeguare l'assetto negoziale alla statuizione assunta in sede penale, così assecondando l'esigenza della funzione pubblica di evitare che vi siano eccessivi scostamenti rispetto a una valutazione piena delle ricadute che i fatti muniti di rilevanza penalistica hanno sul rapporto di lavoro. In ogni caso, le ipotesi divergenti rispetto alla regola generale sono specifiche e insuscettibili di interpretazione estensiva, con la conseguenza che l'attivazione di un secondo procedimento disciplinare su un fatto già valutato può ritenersi ammessa solo nei casi espressamente contemplati dall'articolo 55-ter del Testo unico del pubblico impiego.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©