Contenzioso

Fondi pensione, il diritto di difesa schiude i dati dei beneficiari

di Marcello Bonomo ed Enrico D’Onofrio

Il fondo pensione, in caso di decesso dell'iscritto prima della maturazione del diritto alle prestazioni, non può rifiutarsi di comunicare i dati personali del beneficiario designato qualora il richiedente intenda intraprendere, nei suoi confronti, un'azione giudiziaria. È quanto ha stabilito la Prima sezione civile della Corte di cassazione con l'ordinanza 39531, depositata il 13 dicembre 2021.

Il caso riguardava un iscritto a un fondo di previdenza complementare il quale, in condizioni di salute già gravemente compromesse, aveva sostituito i beneficiari originari della prestazione previdenziale in caso di premorienza (sua moglie e sua figlia minore) con altro soggetto. A seguito del decesso dell'iscritto, i suddetti familiari avevano chiesto al fondo di conoscere i dati relativi alla posizione previdenziale del de cuius e, soprattutto, chi fosse stato indicato quale beneficiario della stessa. Ciò al fine di promuovere un'azione legale nei confronti di quest'ultimo per richiedere l'annullamento della designazione per incapacità di intendere e di volere, nonché per lesione della quota di legittima. A tale richiesta, il fondo aveva opposto il diniego, ritenendo che i suddetti dati fossero riservati e, quindi, non comunicabili a terzi. Gli eredi si erano dunque rivolti al Giudice civile per ottenere la cosiddetta ostensione dei dati personali del beneficiario.

Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, si tratta di una fattispecie che si presenta sovente nella gestione delle posizioni previdenziali dei fondi pensione. Gli iscritti al fondo, infatti, possono designare e successivamente modificare i beneficiari della prestazione nell'ipotesi di premorienza, rientrando tra le loro facoltà quella di individuare soggetti diversi dagli eredi. Ciò può dar luogo a spiacevoli sorprese per i familiari dell'iscritto che avevano l'aspettativa di riscattare l'intera posizione previdenziale e invece scoprono, a seguito del decesso, di essere stati pretermessi.

Nella vicenda si intersecano dunque due interessi divergenti, che vengono in rilievo rispetto alla valutazione della legittimità della richiesta di accesso ai dati di terzi:
1) quello del familiare dell'iscritto a voler conoscere l'identità del beneficiario della prestazione, al fine di promuovere nei suoi confronti un'azione giudiziale;
2) quello del beneficiario a mantenere la riservatezza dei suoi dati. Detti interessi contrapposti devono essere mediati dal fondo nella gestione della posizione previdenziale in conformità ai principi giuridici in materia di privacy.

In tale contesto, la Cassazione muove dal principio di diritto positivo secondo cui «l'interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall'ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l'interesse, ove autentico e surrettizio, all'esercizio del diritto di difesa in giudizio». Secondo la Corte, il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, non può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo titolare dei dati oggetto del trattamento; al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati personali, purché portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti. Per cui, il diritto di difesa in giudizio – nel bilanciamento degli interessi – prevale sul diritto alla riservatezza del soggetto, i cui dati siano necessari per consentire la tutela giudiziale.La Corte chiarisce altresì che nella nozione di «dato personale» sono riconducibili anche i dati dei singoli beneficiari di una polizza o di un fondo di previdenza complementare, raccolti e utilizzati per le finalità del fondo.

Il profilo più delicato, soprattutto per i gestori dei fondi di previdenza, è individuare il momento in cui l'interesse alla difesa giudiziaria può dirsi esistente e tale da prevalere sul diritto alla riservatezza. Secondo la Corte, non è necessaria l'attuale pendenza di un'azione giudiziaria, in quanto la pertinenza dei dati rispetto all'iniziativa difensiva va verificata in termini astratti e con riguardo alla sua oggettiva inerenza alla finalità di addurre elementi atti a sostenerla. Inoltre, non occorre effettuare neppure una valutazione preventiva sulla fondatezza dell'azione che il richiedente intenda intraprendere; è invece sufficiente che «non si tratti di un'istanza del tutto pretestuosa, come allorché il richiedente non vanti, neppure in astratto, una posizione di diritto soggettivo sostanziale, che si ricolleghi all'esigenza dei dati per farlo valere».

Il limite esterno alla legittimità dell'ostensione dei dati viene quindi individuato nella «plausibilità» dell'azione giudiziale, in quanto essa non si presenti ictu oculi manifestamente pretestuosa o improponibile, mentre ogni questione di merito, ossia relativa alla fondatezza delle domande, è inconferente alla valutazione.

L'interpretazione estensiva della Corte di legittimità, volta a favorire nel bilanciamento di interessi la tutela giudiziale dei diritti in luogo della riservatezza dei dati personali, è destinata a lasciare il segno non solo per i fondi pensione, ma più in generale per tutti gli enti che trattano dati destinati a incidere sui diritti dei terzi portatori di interessi meritevoli di tutela. Con riferimento ai fondi pensione, poi, potrebbero sorgere criticità nella gestione dei dati dei beneficiari delle prestazioni, in quanto non sarà agevole isolare in concreto le fattispecie in cui l'azione prospettata dai terzi appare plausibile dalle non infrequenti iniziative pretestuose.

L'ordinanza 39531/2021 della Corte di cassazione

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