Contenzioso

Il Fondo Tfr non interviene se il cedente fallisce ma il lavoratore è alle dipendenze del cessionario

di Valeria Zeppilli

Il Fondo di garanzia per il Tfr è un istituto che interviene, a sostegno dei lavoratori, in caso di insolvenza del datore di lavoro nel pagamento del trattamento di fine rapporto. Esso opera al ricorrere di due presupposti: vi devono essere la sostituzione del datore di lavoro in casi di insolvenza e il pagamento del trattamento previsto dall'articolo 2120 del Codice civile.

L'intervento del Fondo è giustificato da una finalità di carattere sociale, ovverosia la tutela di bisogni socialmente rilevanti, che tuttavia lo legittima solo con riferimento a crediti non pagati relativi a un arco temporale determinato.

Come riportato dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, 13 dicembre 2021, numero 39698), dati tali presupposti, al fine di stabilire l'effettiva operatività dell'istituto occorre verificare chi sia «il datore di lavoro attuale insolvente», ovverosia quale sia il soggetto che assume tale ruolo nei confronti del lavoratore e che versa in una situazione d’insolvenza al momento della cessazione del rapporto di lavoro. A primo acchito può sembrare un problema di nessuna rilevanza, ma in realtà in alcuni casi la sua soluzione è tutt'altro che agevole, tanto da determinare l'insorgere di un contenzioso idoneo a interessare la giurisprudenza di legittimità.

L'attualità della qualità datoriale del soggetto alle cui dipendenze cessa il rapporto di lavoro rileva sotto due diversi punti di vista. Da un lato, si tratta del soggetto che è tenuto al pagamento del Tfr e al quale il Fondo di garanzia si va a sostituire; dall'altro, lo stesso va adeguatamente individuato in quanto è solo quando cessa il rapporto di lavoro che, in base al primo comma dell'articolo 2120 del Codice civile, il trattamento di fine rapporto diviene esigibile.

Tra le varie conseguenze che derivano da quanto appena esposto, ce ne sono alcune che rilevano in materia concorsuale, come quella che qui interessa. Il lavoratore che, a seguito di trasferimento d'azienda, continua a rendere la propria prestazione alle dipendenze del cessionario non può essere ammesso allo stato passivo del fallimento del suo precedente datore cedente per il credito da Tfr. Quest'ultimo, infatti, matura in maniera progressiva con l'accantonamento annuale e diviene esigibile solo quando il rapporto di lavoro cessa definitivamente.

Va comunque precisato che il diritto del lavoratore di accedere al Fondo di garanzia è un diritto di credito a una prestazione previdenziale che resta distinto e autonomo rispetto al diritto vantato nei confronti del datore di lavoro. Lo stesso si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro, ma quando si verificano i presupposti previsti dalla legge 297/1982 istitutiva del Fondo medesimo.

Tornando all'ipotesi del trasferimento d'azienda, se non esiste alcuna relazione causale e temporale tra l'inadempimento datoriale e l'insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, l'intervento del Fondo di garanzia non si giustifica, dato che in questa materia le tutele dei lavoratori sono oggetto di previsioni specifiche di derivazione comunitaria, come quelle poste dalla direttiva 2001/23.

Così, se il lavoratore prosegue il proprio rapporto con la cessionaria del ramo d'azienda fino alle proprie dimissioni e, precedentemente a queste ultime, l'originaria datrice di lavoro cedente viene dichiarata fallita, sono insussistenti i presupposti di un datore di lavoro che versi in una condizione di insolvenza e di cessazione del rapporto di lavoro, non essendo maturato ancora il credito per Tfr dato che, all'epoca in cui il rapporto è cessato, il datore non era la società fallita cedente ma la cessionaria in bonis. Non esiste quindi alcuna relazione causale e temporale tra l'inadempimento datoriale e l'insolvenza dichiarata con procedura concorsuale e, di conseguenza, non vi sono i presupposti per l'applicazione della disciplina del Fondo.

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