Contenzioso

Nessuna decadenza se manca un atto scritto

di Valeria Zeppilli

L'articolo 32, comma 4, della legge 183/2010 individua una serie di ipotesi in cui devono considerarsi applicabili le previsioni dell’articolo 6 della legge 604/1966, il quale stabilisce che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta o dalla comunicazione scritta dei motivi, ove non contestuale, e che l'impugnazione è inefficace se non è seguita dal deposito del ricorso giudiziale nei successivi centottanta giorni.

Tra le ipotesi in cui il regime di decadenza previsto per i licenziamenti si estende ad altre contestazioni è ricompresa quella, enunciata alla lettera d) dell'articolo 32, in cui si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto. Si tratta, tuttavia, di un regime di decadenza dai contorni non sempre chiari e sui quali si è reso anche di recente necessario l'intervento della Corte di cassazione (sezione lavoro, 17 dicembre 2021, numero 40652).

Come chiarito dai giudici, proprio con riferimento alle richieste di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto che non coincide con colui che ha la titolarità del contratto, tale regime decadenziale, ad esempio, non si applica se manca un provvedimento scritto o un altro atto equipollente con il quale la titolarità del rapporto è negata.

A tale proposito occorre ricordare che la finalità che ha ispirato l'estensione della previsione della legge 604 sull'impugnativa stragiudiziale dei licenziamenti a una serie di ipotesi ulteriori attraverso la legge 183/2010 è quella di contrastare il rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario e tutte le conseguenze che ne possono derivare anche sulla gestione dei rapporti di lavoro. Si pensi alla moltiplicazione degli effetti economici che si potrebbe verificare se non fosse garantita la possibilità di conoscere con precisione, ed entro tempi ragionevoli, se e quanti lavoratori sono effettivamente parte dell'organico aziendale.

Nonostante ciò, va comunque considerato che siamo di fronte a una norma di carattere eccezionale, che limita in maniera significativa i tempi per l'esercizio dell'azione giudiziale e che, quindi, va interpretata con un particolare rigore, che deve accentuarsi ancor di più proprio con riferimento all'ipotesi specifica in commento.

Non bisogna infatti omettere di considerare, a detta dei giudici, i profili di illegittimità che potrebbero viziare un'interpretazione di tipo estensivo o analogico della norma, per contrasto con le previsioni poste dalla Costituzione, dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Così, non è possibile che una norma calibrata su atti scritti e recettizi o su fatti tipizzati venga estesa a un fatto quale la cessazione dell'attività del lavoratore senza pretendere un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto. Ritenendo diversamente, infatti, l'esercizio del diritto d'azione del lavoratore diverrebbe eccessivamente aleatorio. Fino a quando il lavoratore non riceve il predetto atto o provvedimento, insomma, non è ammissibile la decorrenza di alcun termine decadenziale.

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