Contenzioso

Incombe sul socio di maggioranza l’onere di dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società

di Claudia Ogriseg

Capita che l'Inps disconosca l'esistenza della subordinazione e conseguentemente l'accantonamento dei contributi. Tutto ciò è accaduto nella vicenda decisa da una sentenza del Tribunale Brescia, 25 gennaio 2022.

Nella ricostruzione dell'ente previdenziale, la posizione di socio di maggioranza di una società di capitali era incompatibile con l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società stessa. Il socio di maggioranza, impugnando l'accertamento dell'Inps innanzi al Giudice del lavoro, ha opposto di essere sempre stato assoggettato all'eterodirezione di figure apicali della società.

Il Tribunale di Brescia disattende la ricostruzione dell'Inps , rileva l'astratta configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra socio di maggioranza e società e grava il socio stesso dell'onere della prova.

Nel corso del giudizio di primo grado, il socio dimostra di aver svolto attività meramente esecutive e di essere stato assoggettato al potere direttivo di una serie di figure apicali quali i capo-cantieri, i responsabili tecnici e il responsabile amministrativo. I testi in effetti ribadiscono che il socio di maggioranza si è sempre comportato come un qualunque lavoratore dipendente, svolgendo all'interno dei diversi cantieri le attività di cui c'era bisogno, assoggettandosi alle direttive e ordini dei capicantiere, osservando gli orari prestabiliti, chiedendo permesso di assentarsi e/o andare in ferie, risultando di fatto redarguito per mancanza di precisione nell'esecuzione delle proprie mansioni. Inoltre i testimoni confermano l'estraneità del socio alle scelte strategiche aziendali e l'esistenza di una gestione congiunta tra amministratore unico della società e responsabili dell'area tecnica e amministrativa.

Pertanto, aderendo all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Brescia conferma come non sussista una astratta incompatibilità tra la qualifica di socio di maggioranza (se componente non unico dell'organo di gestione) e la posizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società. E ciò neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima per la validità delle deliberazioni dell'assemblea attesa la sostanziale estraneità dell'organo assembleare all'esercizio del potere gestorio (Cassazione 36362/2021; 21759/2004). Nella sentenza il giudice, viceversa, conferma la non configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato con la società qualora il socio assuma di fatto l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri gestori.

Da ultimo, il Tribunale esclude la riconducibilità della prestazione lavorativa del socio nella società all'istituto dell'impresa familiare, in considerazione dell'assolvimento dell'onere della prova degli indici di subordinazione. In effetti alla disciplina dell'impresa familiare (articolo 230-bis del Codice civile) si riconosce carattere residuale e finalità di confinare il lavoro gratuito e regolare situazioni di apporto lavorativo continuativo ma non riconducibili al rapporto di lavoro subordinato.

In conclusione è necessario valutare sempre con cura la concreta configurabilità dell'assoggettamento della prestazione del socio agli organi gestori della società. Peraltro, l'incidenza dell'apporto di capitali e/o dell'esistenza di legami familiari non può mai essere sottovalutata. Vero è che le valutazioni di principio contenute nella prassi amministrativa (circolare Inps 179/1989) sono spesso contestate dalla giurisprudenza. Tuttavia queste valutazioni rappresentano il punto di partenza di ricostruzioni ispettive "a tavolino" e finiscono per gravare il socio dell'onere di dimostrare non solo il concreto ed esclusivo svolgimento delle mansioni di assunzione, ma altresì l'effettivo assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare.

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