Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento collettivo e criteri di scelta
Licenziamento collettivo, generica indicazione dei criteri di scelta
Licenziamento collettivo, criteri per la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità
Licenziamento per giusta causa
Licenziamento per giusta causa del dirigente

Licenziamento collettivo e criteri di scelta

Cass. Sez. Lav., 25 marzo 2022, n. 9800

Pres. Tria; Rel. Boghetic; P.M. Mucci; Ric. T.F. + 5; Controric. A.G.T. S.p.A.

Licenziamento collettivo – Comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991 – Finalità – Criteri di scelta – Punteggi concreti attribuiti ai lavoratori – Indicazione puntuale – Necessità

La disciplina di cui alla L. 223/1991 rappresenta una garanzia procedimentale, destinata ad operare a tutela delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali, e assolve alla funzione di porre i sindacati nelle condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e di consentire ai lavoratori la previa individuazione dei criteri di scelta e la verifica circa la correttezza dell'operato del datore di lavoro. In particolare la comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991, in cui devono essere indicate "puntualmente" le modalità con cui i criteri di scelta sono stati applicati, è finalizzata a consentire a sindacati e lavoratori di controllare la corrispondenza tra gli accordi sindacali raggiunti e la scelta dei dipendenti da licenziare.

Licenziamento collettivo – Comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991 – Criteri di scelta – Punteggi concreti attribuiti ai lavoratori – Mancata indicazione – Violazione dei criteri di scelta – Regime sanzionatorio applicabile – Reintegrazione

In materia di licenziamenti collettivi, bisogna distinguere la fattispecie della violazione delle procedure di cui all'art. 4, comma 12, L. 223/1991, per la quale opera una tutela meramente indennitaria, da quella della violazione dei criteri di scelta, alla quale è invece applicabile la tutela reintegratoria. A tal fine, mentre la non corrispondenza della comunicazione di chiusura al modello legale di cui all'art. 4, comma 9, L. 223/1991, integra un mero vizio procedurale, il diverso caso della violazione dei criteri di scelta si verifica allorquando i criteri siano illegittimi ovvero illegittimamente applicati.

NOTA

La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento collettivo perché affetto dalla violazione formale consistente nella mancata indicazione, nella comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991, dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore. Per l'effetto, dichiarava risolti i rapporti di lavoro intercorsi tra la società e i dipendenti e condannava la prima al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell'art. 18, comma 7, L. 300/1970.I lavoratori proponevano ricorso per Cassazione lamentando, inter alia, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, e 5, L. 223/1991, nonché dell'art. 18, commi 4 e 7, L. 300/1970, per errata valutazione delle carenze della comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991. A detta dei ricorrenti, tali carenze integravano non una irregolarità formale bensì una violazione dei criteri di scelta, giacché in assenza della puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri ai dipendenti non era consentita la verifica della corretta applicazione degli stessi.La Corte di Cassazione ritiene il motivo di ricorso fondato.Sulla base dei principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, la disciplina di cui alla L. 223/1991 rappresenta una garanzia procedimentale, destinata ad operare a tutela delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali, e assolve alla funzione di porre i sindacati nelle condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ed a quella di consentire ai lavoratori la previa individuazione dei criteri di scelta e la verifica circa la correttezza dell'operato del datore di lavoro (in tal senso, Cass. 19618/2011, Cass. 15694/2009). In particolare, la comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991, in cui devono essere indicate "puntualmente" le modalità con cui i criteri di scelta sono stati applicati, è finalizzata a consentire a sindacati e lavoratori di controllare la corrispondenza tra gli accordi sindacali raggiunti e la scelta dei dipendenti da licenziare (in tal senso, Cass. 19320/2016, Cass. 12344/2015) e cristallizza le ragioni del recesso, non potendo il datore di lavoro dedurre in giudizio, ex post, l'applicazione di modalità differenti da quelle riportate nella comunicazione.La generica indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare – e in particolare della concreta traduzione dei punteggi attribuiti a ciascun lavoratore sulla base dei relativi criteri – impedisce la suddetta valutazione, non offrendo parametri per verificare le posizioni degli altri lavoratori e l'eventuale applicazione di trattamenti più favorevoli.Quanto al regime sanzionatorio applicabile, la Corte distingue la fattispecie della violazione delle procedure di cui all'art. 4, comma 12, L. 223/1991, per la quale opera una tutela meramente indennitaria, da quella della violazione dei criteri di scelta, alla quale è invece applicabile la tutela reintegratoria. A tal fine, mentre la non corrispondenza della comunicazione di chiusura al modello legale di cui all'art. 4, comma 9, L. 223/1991, integra un mero vizio procedurale, il diverso caso della violazione dei criteri di scelta si verifica allorquando i criteri siano illegittimi ovvero illegittimamente applicati.Secondo la Suprema Corte, la Corte d'Appello non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto, giacché aveva soprasseduto sull'assenza nella comunicazione di chiusura dell'indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore, dei dati fattuali relativi ai carichi di famiglia e dei punteggi assegnati agli altri lavoratori, informazioni tutte necessarie a spiegare come i criteri concordati con i sindacati fossero stati applicati in concreto, e aveva consentito alla società di colmare le lacune successivamente, nella fase istruttoria del giudizio. Sarebbe stato, invece, onere del datore di lavoro specificare, già nella comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991, le modalità applicative dei criteri di scelta, in modo da consentire al singolo lavoratore di comprendere perché lui, e non altri, siano stati destinatari del licenziamento (in tal senso, Cass. 29289/2019, Cass. 28461/2018, Cass. 24352/2017, Cass. 18306/2016, Cass. 12196/2011). L'assenza di tale esplicazione costituisce una illegittima applicazione dei criteri di scelta, cui consegue l'annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di un'indennità risarcitoria non superiore alle 12 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, ai sensi dell'art. 18, comma 4, L. 300/1970. 

Licenziamento collettivo, generica indicazione dei criteri di scelta

Cass. Sez. Lav., 31 marzo 2022, n. 10523

Pres. Tria; Rel. Boghetich; P.M. Mucci; Ric. N. S.a.s..; Contr. F.P.

Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Competenze tecnico professionali – Mera clausola di stile – Illegittimità

È illegittimo per violazione dei criteri di scelta il licenziamento collettivo – limitato al solo settore «contazione banconote» – qualora nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991 vi sia la generica indicazione del criterio relativo alle competenze tecnico-professionali: un generico riferimento «alle figure professionali con competenze complete e totalizzanti», in quanto mera clausola di stile, non rende, infatti, espliciti e comprensibili i punteggi concernenti le competenze tecnico-professionali come attribuiti nella tabella allegata alla comunicazione. Ciò impedisce ogni verifica e non offre alcun parametro comparativo rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli.

NOTA

La Corte d'Appello di Napoli dichiarava illegittimo il licenziamento collettivo – limitato al solo settore «contazione banconote» – intimato dalla società datrice al lavoratore. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto inadeguato il criterio con cui è stato attribuito il punteggio (di peso considerevole, ossia da 1 a 10) per le competenze tecnico-professionali, in assenza di parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica se non quello del generico riferimento «alle figure professionali con competenze complete e totalizzanti». Tale genericità, secondo il giudice d'appello, era aggravata dalla circostanza che si trattava di licenziamento che andava ad incidere su lavoratori appartenenti allo stesso settore e che il medesimo settore non era stato eliminato, ma solamente ridimensionato. Avverso tale decisione, la società datrice ha proposto ricorso per cassazione sostenendo, in particolare, che il grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare doveva essere verificato non in astratto, bensì in concreto, sulla base di elementi oggettivi e verificabili, e, nello specifico, sulla base della posizione occupata dal lavoratore.La Corte di Cassazione ritiene priva di fondamento la censura, ponendosi la stessa in «insanabile» contrasto con la garanzia riconosciuta dalla legge n. 223 del 1991. La Suprema Corte rammenta, innanzitutto, che la suddetta garanzia, di natura procedimentale, assolve alla funzione di porre, da un lato, le associazioni sindacali in condizione di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e, da altro lato, di assicurare al lavoratore interessato al licenziamento, la «previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell'esercizio del potere privato del datore di lavoro» (Cass. 19618/2011; Cass. 15694/2009). In tale contesto, evidenzia la Suprema Corte, «la verifica del rispetto degli obblighi procedurali non può che collocarsi logicamente e cronologicamente in un momento antecedente a quello della concreta selezione dei lavoratori da sospendere e della applicazione della rotazione e quanto ora osservato assorbe ogni rilievo formulato dalla società in punto di necessità di verifica "in concreto", necessariamente successiva, del grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare».La Corte di Cassazione conferma quindi, come da massima, che la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare del criterio relativo alle competenze tecnico-professionali, ha impedito nel caso di specie «ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi».Infine, la Suprema Corte, ribadisce che grava interamente sul datore di lavoro l'onere di allegazione dei criteri di scelta e di prova della loro applicazione dei confronti dei lavoratori licenziati, «non essendo ravvisabile alcun onere in capo al lavoratore ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare dei criteri assolutamente vaghi, inidonei a consentire al lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro» (Cass. 27165/2009). 

Licenziamento collettivo, crteri per la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità

Cass. Sez. Lav., 31 marzo 2022, n. 10520

Pres. Raimondi; Rel. Boghetic; Ric. C. S.p.A. e A. S.p.A.; Contr. L.M. + 1

Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Reparto soppresso o ridotto – Comparazione con addetti ad altre unità produttive – Necessità

In tema di licenziamenti collettivi, ai fini dell'applicazione dei criteri di scelta dettati dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire nell'ambito dell'intero complesso organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano lavoratori di analoghe professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di similare livello, rimanendo possibile una deroga a tale principio solo con riferimento a casi specifici ove sussista una diversa e motivata esigenza aziendale; in caso contrario sarebbe possibile finalizzare i criteri di scelta (eventualmente in collegamento con preventivi spostamenti del personale) ad esigenze imprenditoriali non esclusivamente tecnico produttive e all'espulsione di elementi non graditi al datore di lavoro, senza concrete possibilità di difesa da parte degli interessati.

Trasferimento di azienda in crisi – Accordo sindacale ex art. 47, co. 4–bis, l. 428/90 – Deroghe all'art. 2112 cod. civ. – Interpretazione – Modifiche in peius del trattamento economico e normativo dei lavoratori – Ammissibilità – Deroga al passaggio dei dipendenti – Esclusione

In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 4-bis può prevedere deroghe all'art. 2112 cod. civ. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario.

NOTA

La Corte di Appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto l'illegittimità del licenziamento comunicato a due lavoratrici da parte della società datrice di lavoro, all'esito di una procedura di licenziamento collettivo, e condannato la nuova datrice di lavoro – in qualità di cessionaria del compendio aziendale – a reintegrare le stesse nel posto di lavoro, condannando, altresì, entrambe le società, in solido, al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto. In estrema sintesi, la Corte territoriale accertava la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori ex art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, a fronte dell'ingiustificata delimitazione del perimetro spaziale in cui operare la scelta, posto che gli accordi intervenuti tra le parti sociali alludevano genericamente all'efficienza della struttura organizzativa delle singole società, senza precisare la situazione oggettiva che rendeva impraticabile qualunque comparazione sull'intero territorio nazionale.La Corte d'Appello aveva, infatti, accertato che le mansioni svolte dalle due dipendenti non potevano ritenersi caratterizzate da specifiche peculiarità tali da rendere, appunto, impraticabile qualunque comparazione con il restante personale.Conseguentemente, annullato il licenziamento per entrambe le lavoratrici e ricostituito ex tunc il rapporto di lavoro con l'impresa cedente, la Corte stabiliva che il contratto doveva proseguire con l'impresa cessionaria, non essendo opponibile da parte di quest'ultima l'esclusione prevista dall'accordo di cessione di azienda per i lavoratori non facenti parte dell'elenco dei lavoratori trasferiti, pur in presenza di uno stato di crisi aziendale, e ciò in forza dell'interpretazione dell'art. 47, comma 4 bis, della legge n. 428 del 1990 in senso conforme al diritto dell'Unione, nel senso che l'accordo sindacale ivi previsto non può prevedere limitazioni al diritto dei lavoratori di passare all'impresa cessionaria, ma semplicemente modifiche delle condizioni di lavoro al fine del mantenimento dei livelli occupazionali. Per la cassazione della sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi sia la società cedente, sia la cessionaria, trattati congiuntamente dalla Suprema Corte. La Cassazione, per quel che rileva, ritiene che la Corte d'Appello abbia correttamente applicato al caso di specie il consolidato principio di cui in massima in tema di criteri di scelta nel licenziamento collettivo, precisando, altresì, che «la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede e il datore non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli addetti a un reparto se detti lavoratori sono idonei – per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non è legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto soppresso o ridotto trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative».Anche con riferimento all'eccezione sollevata dall'impresa cessionaria, in regime di amministrazione straordinaria, la Suprema Corte ritiene che l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale sia immune da censure. Infatti, dopo aver ribadito il principio di cui in massima in tema di trasferimento di aziende in crisi o amministrazione straordinaria, la Cassazione afferma che l'unica lettura coerente dell'art. 47 citato risulta quella che si coordina con le indicazioni offerte dalla Corte di Giustizia dell'U.E. (sentenza 11.6.2009, C-561/07, all'esito di procedura di infrazione), conseguentemente, sono ammesse solo modifiche, eventualmente anche in peius, all'assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non è consentita anche la deroga al passaggio automatico dei lavoratori all'impresa cessionaria. Conclusivamente, la Suprema Corte rigetta il ricorso principale dell'impresa cedente e la condanna al pagamento delle spese di lite, mentre accoglie il quinto motivo del ricorso incidentale dell'impresa cessionaria dichiarando improcedibile la domanda risarcitoria delle lavoratrici avanzata nei suoi confronti – in quanto doveva essere avanzata dinanzi al giudice della procedura concorsuale – e, rigettati tutti gli altri motivi, la condanna alle spese di lite.  

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav. 28 marzo 2022, n. 9931

Pres. Manna; Rel. Negri Della Torre; PM Visonà; Ric. Omissis.; Controric. Omissis

Licenziamento per giusta causa – Tipizzazione delle condotte da parte del CCNL – Sanzioni conservative – Valutazione della sussumibilità della condotta del lavoratore nelle previsioni del CCNL – Rilevanza della gravità della condotta

In materia di licenziamenti disciplinari, nell'ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.

NOTA

La sentenza in commento ha ad oggetto il licenziamento per giusta causa – confermato sia in primo grado che in sede d'appello – comminato ad uno psichiatra per avere lo stesso intrattenuto con una paziente un rapporto estraneo a quello normale tra medico e paziente, in quanto accompagnato dalla ricerca di una relazione di natura sessuale.In particolare, la Corte di Appello di Firenze ha ritenuto provata la condotta oggetto di contestazione, anche con riguardo al contenuto erotico delle comunicazioni intercorse, e ha confermato, altresì, la valutazione di gravità espressa dal giudice di prime cure, anche in considerazione dello squilibrio di posizioni che caratterizza la relazione professionale di tipo psichiatrico, escludendo che detto comportamento potesse rientrare nella definizione di molestie personali anche a carattere sessuale con conseguente applicabilità della sanzione conservativa della sospensione dal servizio senza retribuzione fino ad un massimo di sei mesi, prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro (C.C.N.L. Area della Dirigenza Medico-Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale).Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso il medico psichiatra, ritenendo applicabile al caso di specie la sanzione conservativa prevista dal contratto collettivo.La Suprema Corte si è soffermata, innanzitutto, sulle conclusione della Corte territoriale, osservando che la Corte di Firenze ha rilevato la sussistenza nella specie di una radicale violazione degli obblighi e dei doveri deontologici, che devono presiedere alla relazione tra il medico e il suo paziente, una violazione tanto più grave perché realizzata nel corso di una terapia psichiatrica, che vede, per sua stessa natura, uno dei soggetti coinvolti in una condizione di fragilità o di difficoltà personale. Conseguentemente – prosegue la Suprema Corte – la Corte d'appello ha ritenuto che in tale fattispecie, così come ricostruita alla luce delle circostanze del caso concreto (tra le quali il contenuto erotico delle comunicazioni), trovasse applicazione la norma, generale e residuale del CCNL applicato al rapporto di lavoro, che rende possibile l'applicazione del licenziamento in tutti i casi di atti e comportamenti «non ricompresi specificamente nelle lettere precedenti, seppur estranei a prestazione lavorativa» posti in essere «anche nei confronti di terzi e di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto».Dunque, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo che correttamente la Corte territoriale avesse motivato e rilevato, all'esito dell'esame del materiale istruttorio, la non sussumibilità della condotta del lavoratore nelle previsioni contrattuali che dispongono la sanzione conservativa della sospensione per i meri atti di molestia, anche sessuale. 

Licenziamento per giusta causa del dirigente

Cass. Sez. Lav., 6 aprile 2022, n. 11172.

Pres. Tria; Rel. Pagetta; Ric. M.A.; Controric. A. S.p.A.

Licenziamento – Giusta causa – Legittimità – Art. 2105 cod. civ. – Violazione – Lesione dell'immagine aziendale – Fattispecie: dirigente avvia trattativa per acquisto in proprio di quote di società concorrente

È legittimo il licenziamento per giusta causa del dirigente che abbia avuto contatti, all'insaputa della datrice di lavoro, con il socio di una società concorrente per l'acquisizione in proprio di una quota societaria della medesima, anche qualora la trattativa non sia andata a buon fine. Il dovere di fedeltà del dipendente, infatti, ha un contenuto più ampio di quello desumibile dall'art. 2105 cod. civ., dovendo integrarsi con il principio di correttezza e buona fede, con la conseguenza che viene in rilievo anche la mera potenzialità lesiva della condotta. A ciò si aggiunga che, nello specifico, l'elevato livello ricoperto dal lavoratore implica una particolare pregnanza dell'obbligo di correttezza e buona fede dallo stesso esigibile, anche in relazione ai possibili riflessi negativi per l'immagine della società in caso di diffusione all'esterno della vicenda e per l'obiettivo pericolo di condotte emulative da parte di altri dipendenti.

NOTA

La Corte d'appello di Roma confermava la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda del dirigente intesa all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento per giusta causa per avere avuto contatti, all'insaputa della datrice di lavoro, con il socio di una società concorrente per l'acquisizione in proprio di una quota societaria della medesima società, nonostante le trattative non fossero poi andate a buon fine. Avverso la sentenza della Corte di appello, ricorreva il dipendente in Cassazione, poiché la fattispecie era stata ricondotta nell'ambito della violazione del dovere di fedeltà gravante sul lavoratore ai sensi dell'art. 2105 cod. civ. e lamentando che nella condotta ascritta non era ravvisabile alcuna violazione dell'obbligo di non concorrenza contemplato dall'art. 2105 cod. civ. e che neppure poteva attribuirsi concreto rilievo, alla stregua dei principi regolanti la materia, alla mera potenzialità lesiva del comportamento tenuto. La Corte di Cassazione, dopo aver ribadito che il dirigente aveva violato il dovere di fedeltà che imponeva un obbligo di leale comportamento nei confronti del datore di lavoro da collegarsi alle regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e che «in base ad esso il dirigente doveva astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ. ma anche da tutti quelli che per loro natura e conseguenze apparivano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creavano conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa stessa o risultavano comunque idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto stesso» rigetta il ricorso decidendo come da massima sopra riportata.

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