Contenzioso

La sentenza della Consulta sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo avrà effetti sulle liti pendenti

di Giuseppe Merola

È indubbio che la sentenza 125/2022 della Corte Costituzionale abbia un impatto immediato e diretto, non solo sui procedimenti giudiziali futuri, ma anche su quelli in corso, ove il giudizio verta sull’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il lavoratore abbia invocato l’applicazione della tutela prevista dall’articolo 18, settimo comma, della legge 300/1970.

L’efficacia nel tempo della dichiarazione di illegittimità costituzionale è disciplinata dall’articolo 136 della Costituzione e dall’articolo 30, comma 3, della legge 87/1953. In forza del combinato disposto di queste disposizioni, la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia e non può più trovare applicazione a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza dichiarativa di incostituzionalità.

La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che la declaratoria di incostituzionalità, implicando l’invalidità originaria della legge per contrasto con il dettame costituzionale, ha efficacia “ex tunc” e quindi dalla data di emanazione della norma affetta da difformità alla Costituzione. Peraltro, sul punto, dottrina e giurisprudenza di legittimità sono sempre state quanto mai concordi nell’affermare che «le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche consolidate» (cfr. per tutte Cassazione civile sez. II, 13/02/1999, n.1203).

L’unico limite al principio di retroattività degli effetti derivanti dalla pronuncia d’incostituzionalità della norma è rappresentato dai cosiddetti rapporti “esauriti”, ovverosia quelle situazioni ormai consolidate e definite per effetto di prescrizione o decadenza, sentenza passata in giudicato e così via. È quindi possibile affermare che gli effetti della sentenza di incostituzionalità della norma non riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno successivamente alla pubblicazione della sentenza stessa, ma anche tutti quei rapporti già sorti purché non si tratti di rapporti esauriti. Applicando tali principi alla pronuncia in esame, ne consegue che l’illegittimità costituzionale dichiarata dalla Corte con sentenza 125/2022 relativamente alla parola «manifesta» contenuta nell’articolo 8, settimo comma, secondo periodo, della legge 300/1970, è immediatamente applicabile anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati prima del 20 maggio 2022, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.

Non solo, gli effetti della pronuncia riguardano anche i giudizi in corso, nell’ambito dei quali i giudici non potranno più fare applicazione della norma illegittima, accertando se il fatto costituente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento sia o meno manifestamente insussistente. D’ora in poi, anche nei procedimenti pendenti e non ancora definiti con sentenza, i giudici dovranno limitarsi ad accertare se i motivi organizzativi posti alla base del licenziamento siano realmente esistenti, senza effettuare alcuna verifica in ordine alla manifesta insussistenza degli stessi.

Le uniche fattispecie che non saranno interessate dalla pronuncia in questione sono unicamente quelle già definite, e cioè i licenziamenti già intimati per i quali siano spirati i termini decadenziali di impugnazione oppure quelli già oggetto di impugnazione il cui procedimento sia stato definito con sentenza passata in giudicato. Al di là di queste ipotesi residuali, la sentenza della Corte Costituzionale è destinata a produrre, sin da subito, i suoi effetti disapplicativi della parola «manifesta» dichiarata incostituzionale.

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