Contrattazione

Italia agli ultimi posti in Europa per i turni nei giorni di festa

di Luca Vozella e Carlo Zandel

La colata d’acciaio che arriva ogni 4 o 6 ore non si può fermare. Nemmeno la domenica. Nemmeno nei giorni di festa. C’è un mondo produttivo che non si ferma mai. E non è solo quello legato alla ristorazione, al commercio e al turismo che pure sono tra i principali datori di lavoro dei lavoratori della domenica. Pensiamo alla siderurgia a cui è fortemente legata la questione industriale del nostro paese o alla chimica. Per non dire della logistica, dei trasporti, dell’assistenza socio-sanitaria e delle forze di polizia, carabinieri e finanza. O dei musei, dell’agricoltura e dell’allevamento. Oltre a tutti gli autonomi.

Tra sometimes e usually workers

Quello della domenica e dei festivi è un esercito di uomini e donne che, secondo quanto emerge da un’elaborazione Adapt sui dati Eurostat 2017, in Italia arriva a 4,65 milioni: più di un lavoratore dipendente su cinque, pari al 20,6% del totale degli occupati. All’interno di questa fascia di lavoratori, però, la frequenza dell’attività lavorativa domenicale non è uguale per tutti. Facendo cento il totale dei lavoratori domenicali il 28,8% di essi lavora la domenica “sometimes” mentre per il restante 71,8% la frequenza si intensifica. In termini assoluti sono 1,34 milioni, pari al 6% del totale, i “sometimes workers” mentre gli “usually workers” salgono a 3,3 milioni, il 14,7% degli occupati totali. Un’ulteriore distinzione che l’elaborazione dei dati consente di fare è quella di genere. Tra gli uomini, infatti, la percentuale sale al 21,2% mentre tra le donne scende al 20,1%. Questi dati nell’ultimo decennio stanno registrando un costante aumento. Nel 2008 la percentuale di lavoratori interessati era pari al 17,4%, 3,3 punti in meno rispetto al 2017. Nonostante questo aumento l’Italia rimane comunque al di sotto della media dell’Area Euro (18 paesi) che si stabilisce al 21,2%.

I settori

Soffermandoci sui numeri dei settori, quello con la presenza più elevata di lavoro domenicale è il settore alberghiero e della ristorazione, con 723.000 lavoratori dipendenti coinvolti (il 69,3% dei dipendenti del settore). Al secondo posto c’è la sanità (679.000 dipendenti pari al 43,1% del settore) e al terzo il commercio con 628.000 occupati (pari al 30,6% del settore).

Noi e gli altri

Secondo quanto emerge dalla sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro di Eurofond, il lavoro domenicale all’interno dell’UE a 28 e della Norvegia è in aumento e ha coinvolto per almeno una domenica al mese il 30% dei lavoratori e per almeno 3 volte al mese il 10% della medesima platea. Gli uomini sono maggiormente coinvolti dal lavoro domenicale (31% rispetto al 28% delle donne), in agricoltura e nel settore della sanità la percentuale si avvicina al 50% mentre nel commercio e nel turismo è pari al 38%, in aumento di 4 punti rispetto al 2010. Per gli autonomi la percentuale è pari al 46%. Rispetto al contesto europeo l’Italia si colloca al di sotto della media. I lavoratori italiani nella giornata di domenica mediamente lavorano meno dei propri colleghi di altri 24 stati europei (nei Paesi scandinavi la percentuale supera il 40% dei lavoratori) presentando una percentuale maggiore solamente rispetto ad Austria, Portogallo, Cipro e Germania.

Lavoro domenicale e festivo

“Lavoro domenicale” e “lavoro festivo” vengono spesso accomunati se non usati come sinonimi. Ma da un punto di vista giuridico vi sono differenze. Per lavoro festivo si intende infatti la prestazione di lavoro effettuata in coincidenza dei giorni previsti dalla legge quali giorni festivi tra cui vi rientra anche la domenica. Sulla domenica, entrano però in gioco le norme che regolano l’orario di lavoro e in particolare il D.lgs. 66/03: l’art. 9, c. 1, D.lgs. 66/03 prevede che sia riconosciuto un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive ogni sette giorni, “di regola in coincidenza con la domenica”. La norma individua quindi la domenica quale giorno preferibile, e non obbligatorio, di riposo, non ponendo particolari vincoli, salvo il riconoscimento di riposo compensativo, alla facoltà del datore di poter richiedere ai propri dipendenti lo svolgimento di lavoro domenicale: questa impostazione va sostanzialmente a creare una divaricazione concettuale tra lavoro domenicale e lavoro festivo. Tale divaricazione trova la propria ratio, da un lato, nel fatto che la legge prevede un corposo elenco di eccezioni e deroghe (attivabili anche dalla contrattazione collettiva) relative a esigenze tecniche, produttive e organizzative (es. in relazione a particolari lavorazioni industriali o a servizi considerati di pubblica utilità) che richiedono una modulazione differente dell’orario di lavoro (e quindi anche la possibilità di lavorare la domenica), dall’altro, dal fatto che la legge richiede un giorno della settimana, non necessariamente la domenica, destinato al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, quindi in un’ottica di salute e sicurezza.

Cosa succede in Europa?

16 dei 28 Stati dell’UE, tra cui l’Italia, non prevedono alcuna limitazione di orario o apertura domenicale. Nei restanti Stati sono comunque previste numerose eccezioni ai divieti e alle imitazioni imposte. In particolare, le deroghe riguardano le aree turistiche, i rivenditori alimentari, i negozi per la casa, la grande distribuzione, le edicole, le stazioni di servizio, le stazioni ferroviarie, gli aeroporti e i musei. Facendo alcuni esempi di regolamentazione delle chiusure domenicali in altri Paesi dell’Unione, il Belgio e Malta consentono l’apertura la domenica a condizione che si scelga un giorno di chiusura alternativo; in Francia l’apertura è libera per i negozi gestiti dai proprietari, mentre per i negozi non alimentari solo previa decisione del sindaco e comunque con una maggiorazione del 100%, per i negozi alimentari, invece, l’apertura è concessa sino alle 13.00; in Germania i negozi sono chiusi con eccezione di panettieri, fiorai, edicole, negozi per la casa, musei, stazioni ferroviarie, stazioni di servizio, aeroporti e luoghi di pellegrinaggio; in Spagna la questione è demandata alle Comunità Autonome (nella maggior parte sono previste 10 domeniche/festività di apertura); nel Regno Unito le restrizioni hanno come discriminante i metri quadri dell’esercizio commerciale (i piccoli negozi non hanno restrizioni, i grandi possono operare solo su fasce orarie prestabilite). Il quadro descritto rende l’Italia l’unico paese tra le economie più sviluppate dell’Unione Europea (Germania, Gran Bretagna – con l’esclusione della Scozia –, Francia e Spagna) ad aver completamente liberalizzato le aperture domenicali.

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