Contrattazione

Campania, la perdita del lavoro colpisce le donne tre volte di più

di Vera Viola

Tra tutte le unità di lavoro perse nell’anno del Covid (nel 2020) in Campania, il 73% era delle donne.

Il tributo più alto alla crisi economica determinata dalla pandemia, è stato pagato dalle donne e lo dimostrano i dati relativi alla Campania. Nonostante il blocco dei licenziamenti, le donne sono quelle che più di tutti hanno perso il lavoro per una serie di motivi: sono quelle che accettano di solito condizioni di lavoro più precarie, o contratti a tempo determinato. In molti casi, poi, sono state esse stesse a rinunciare per far fronte alle esigenze familiari dettate dalla pandemia: figli a casa, impossibilità di far conto sui nonni (da preservare perché più vulnerabili) e di ricorrere a baby sitter.

Il quadro emerge da una elaborazione di Ires Cgil su dati Istat. Da questa emerge che, nel 2020 in Campania, l'occupazione femminile è calata del 15% (-42mila occupate donne) . Nello stesso anno, quella maschile è calata del 2% (-11.340 occupati uomini). In totale sono stati persi 53.340 posti di lavoro .

Di conseguenza, la disoccupazione femminile in Campania è salita dal 31% del 2019 al 34,8% del 2020. Contro una media europea del 14,5%. In particolare, a Napoli, si registra un’ampia divergenza: il tasso di disoccupazione femminile è pari al 29,3% e il tasso di disoccupazione maschile è del 21,5%.

Si è quindi ulteriormente ridotto il lavoro femminile: in tutta Italia, e soprattutto al Sud, è ancora relegato a una quota marginale. Si pensi che nel 2019 la forza lavoro in Campania (da 15 anni in su) era composta per il 48% da uomini e solo per il 22% da donne. Il restante 31% era rappresentato da disoccupati.

In Campania solo una donna su tre ha un lavoro. Spesso con un salario inferiore rispetto all’omologo uomo mediamente di 300 euro. Per tasso di disoccupazione femminile la regione si colloca tra le ultime quattro in Italia, insieme a Puglia, Calabria e Sicilia.

Più in generale, infatti, secondo la Svimez, nel 2020 «sono le donne del Sud quelle che hanno subito l’impatto maggiore nella crisi pandemica: l’occupazione è calata del 3% a fronte del -2,4% del Centro-Nord».

«La distanza che esiste tra uomini e donne nel nostro Paese e che gravemente divarica le differenze nel Mezzogiorno – ha detto Anna Finocchiaro, oggi presidente di Italia Decide intervenendo al convegno su “Umanesimo digitale” che si è svolto pochi giorni fa a Maratea –rischia di minare i progetti per il futuro. La crisi pandemica ha acuito gravemente disuguaglianze e asimmetrie». E ha aggiunto: «Il traguardo che ci poniamo con il Pnrr non è tornare alle condizioni precedenti ma agganciare l’Italia alle grandi trasformazioni sociali ed economiche e verso l’abbattimento delle disuguaglianze e le discriminazioni. Ma le disuguaglianze che la pandemia ha acuito sono una zavorra». Finocchiaro cita qualche dato. «Nel 2018 – dice –nel Sud solo il 32,2% delle donne tra 15 e 64 anni lavorava contro il 59,7 del Nord. Quindi l’occupazione femminile è a un valore inferiore alla media nazionale delle donne occupate nel 1977». E infine: «Nel 2020 su 444mila lavoratori in meno 312mila sono donne».

Il quadro è preoccupante. Sonia Palmeri, direttore hr di Generazione Vincente, agenzia del lavoro che opera in tutta Italia ma con un forte radicamento al Sud, chiarisce: «Se analizziamo la domanda, nell’anno del covid molte donne hanno privilegiato il ruolo familiare. Nelle nostre selezioni fa la differenza la qualifica, l’esperienza, senza discriminazioni. Penso che la domanda da parte delle donne tornerà a pieno ritmo quando usciremo completamente dalla pandemia. È anche vero che i ruoli in posizioni innovative più richiesti sono tecnici e molte donne al Sud non scelgono la formazione in materie stem. Al contrario, i servizi sociali, settore su cui molte più donne si specializzano, sono poco sviluppati. Quanti operatori socio sanitari, maestre di asilo, non trovano lavoro?». Palmeri conclude: «Bisogna aiutare le giovani leve anche a tenere in considerazione la formazione in materie scientifico tecniche».

Ne è convinta anche Anna Del Sorbo, presidente della piccola industria dell’Unione industriali di Napoli. «Un punto debole è la formazione. Serve formazione di qualità e anche per le donne un orientamento per le materie tecnico scientifiche, sin dalle scuole elementari». Del Sorbo non nega che «ci sia ancora in alcuni casi una cultura di impresa che tende a ridurre le assunzioni di donne». Penalizzate anche le imprenditrici, secondo la presidente della piccola napoletana, soprattutto nei passaggi generazionali nelle aziende familiari. «Troppo spesso il genitore cede il testimone a un figlio. maschio e non sempre questo, tra i figli, è quello più capace».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©