Contrattazione

Sicilia, mercato del lavoro fermo. Aziende a caccia di competenze

di Nino Amadore

Sembra una buona notizia. Ma non lo è, purtroppo. Perché è la manifestazione di uno stato patologico del mercato del lavoro siciliano. Così il dato sul calo della disoccupazione, rilevabile dalla banca dati Istat e visibile nei dati della tabella in alto, in tutto il 2020 piuttosto che indurci all’ottimismo ci porta a ragionare su una situazione che appare senza vie di sbocco. Mancano i dati regionalizzati del primo trimestre a causa del cambio nei criteri di calcolo. Il contesto siciliano resto comunque tale: le politiche pubbliche (leggasi interventi sui Centri per l’impiego) fanno fatica a comprendere come adeguare gli strumenti e soprattutto come rendere vero e efficiente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. I dati di Banca d’Italia , nella relazione dedicata all’economia della Sicilia nel 2020, dicono che c’è stata una perdita secca di 15.000 posti di lavoro con un calo dell’1,1% a fronte di una riduzione del 2% nel Mezzogiorno e nella media nazionale.  Sembrano pochi in un anno così nefasto . Si tratta dunque di una buona notizia? Per nulla: «Il tasso di occupazione per gli individui tra i 15 e i 64 anni è rimasto sostanzialmente stabile al 41% (58,1% il dato italiano) - si legge nella relazione Bankitalia –: il calo degli occupati è stato controbilanciato dalla riduzione della popolazione residente in età lavorativa». Visto così il mercato del lavoro in Sicilia sembra riproporre il solito quadro asfittico che la pandemia avrebbe solo accentuato. 

Se poi, però, si va a vedere il punto di vista delle aziende la prospettiva cambia e non poco. Si prenda, per dire, la recente ricerca fatta dalla Piccola industria di Confindustria Catania. Secondo questa ricerca buona parte delle aziende interpellate rivela come un forte freno a nuovi ingressi in azienda sia determinato dalla difficoltà a reperire personale con competenze adeguate. «Più che alla pandemia, quindi, il mercato del lavoro locale deve pagare un prezzo ancora più alto al gap di competenze che ormai da anni alimenta il serbatoio di Neet in particolare nella provincia etnea» spiegano gli imprenditori.

I dati riguardanti la provincia etnea sono stati elaborati dall’Ufficio studi di Confindustria Catania secondo due macro gruppi: medie imprese (24% del campione) e piccole e micro imprese (76%): i settori di appartenenza vanno dal comparto alimentare al metallurgico, dalla gomma all’elettronica. Secondo il monitoraggio, il 50% delle piccole aziende e il 46% di quelle medie sono disposte ad assumere nuovo personale per adattarsi ai nuovi scenari economici. Segnali che si direbbero positivi, quindi, in un momento in cui la crisi innescata dal Covid ha determinato forti perdite occupazionali soprattutto tra i giovani e le donne, Dai risultati della survey si evince che, in particolare sul tema della formazione, è ancora ampia la forbice tra le micro-piccole e medio-grandi imprese.

Le risposte delle piccole imprese su alcuni temi su cui si giocheranno le dinamiche future dell’economia, sono ancora troppo timide. È utile, quindi, puntare già da subito su percorsi che riescano a valorizzare e rafforzare il capitale umano e potenziare il dialogo tra mondo della formazione e mondo produttivo; costruire fin dalle scuole primarie di secondo grado percorsi di studio che possano essere fruibili dalle aziende; allineare e rendere le competenze degli occupati e dei disoccupati più funzionali e rispondenti ai fabbisogni professionali delle aziende puntando su innovazione e digitalizzazione; attrarre nuova occupazione qualificata, in particolare giovanile, grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Ai più sembra evidente che nell’isola si sia in presenza di un cortocircuito, al netto di rinunce e altro da addebitare al reddito di cittadinanza. «Dobbiamo mirare allo sblocco delle assunzioni – dice il presidente di Confindustria Sicilia Alessandro Albanese –. Serve una riforma reale del welfare e una riforma reale del mercato del lavoro». E in Sicilia quando si parla di riforma del mercato del lavoro il pensiero corre subito ai centri per l’impiego che in Sicilia sono in totale 65 ma sia le imprese che i sindacati continuano a sostenere che queste strutture non funzionano.

Il governo regionale aveva annunciato intanto nuove assunzioni con un bando da 1.100 posti ma il bando è stato ritirato. Per parte loro i sindacati propongono di cambiare completamente tutto ridisegnando la fisionomia dei centri per l’impiego: «Noi proponiamo la creazione di una nuova rete territoriale, proposta già illustrata al Governo Regionale due anni fa, nel corso di una manifestazione innanzi a Palazzo d'Orleans – dice Giuseppe Raimondi della Uil –. Per garantire un servizio di qualità, snello e moderno, è inevitabile sviluppare una sinergia tra i Centri per l’Impiego e i Comuni. La proposta è quella di creare una moderna rete territoriale, con sedi multifunzionali allocate nei locali dei Comuni di regola con oltre 10.000 abitanti, in stretto raccordo con i CPI territorialmente competenti e con i Servizi Sociali dell’ente ospitante che prenda in carico i nuclei familiari con tutti i loro disagi. Il personale, previa rilevazione del fabbisogno che terrà conto anche del personale ausiliario e amministrativo occorrente, sarà fornito dalla Regione e dai Comuni, nel rispetto delle leggi nazionali e regionali, e previo accordo sindacale».

E sembra che un intervento per potenziare i servizi per il lavoro sia alquanto urgente. Lo si capisce da questa conclusione della banca d’Italia sempre nella relazione presentata qualche gio0rno fa: «In connessione con la più scarsa partecipazione al mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione si è ridotto di 2,1 punti percentuali, al 17,9 per cento (-0,8 punti percentuali nella media nazionale, al 9,2 per cento). Tra i disoccupati è diminuito il numero sia degli ex occupati sia degli individui senza esperienza di lavoro. Considerando la popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni, la crescita dell’inattività ha interessato maggiormente gli individui di età inferiore ai 35 anni ed è tornata a coinvolgere le donne, che rappresentano poco meno dei due terzi del totale».

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