Contrattazione

Area Ocse: recupero occupazione dopo il 2022

di Gianluca Di Donfrancesco

L’occupazione nell’area Ocse tornerà ai livelli pre-Covid dopo il 2022 e, comunque, i posti di lavoro creati non coincideranno del tutto con quelli cancellati dalla pandemia. È l’analisi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nel suo Employment Outlook 2021, presentato ieri.

La ripresa economica si consolida, ma il mercato del lavoro ha tempi più lunghi. In Italia, secondo l’Ocse, il tasso di occupazione tornerà ai livelli pre-crisi nel terzo trimestre del 2022, prima della media dell’area, in linea con la Francia, ma più tardi della Germania.

Nella fase più acuta della crisi, gli strumenti di tutela dell’occupazione (come la cassa integrazione) hanno coinvolto circa 60 milioni di persone nell’Ocse, pari al 20% del totale, salvando fino a 21 milioni di posti. I tecnici dell’Ocse aggiungono che non ci sono elementi per ritenere che il ricorso a questi strumenti (Job Retention Scheme) abbia frenato la creazione di nuovi posti di lavoro. Nei prossimi mesi, secondo l’Ocse, «i sussidi devono continuare a sostenere i settori la cui attività rimane limitata e devono concentrarsi sui posti di lavoro con maggiore probabilità di sopravvivenza».

I Job Retention Scheme, aggiunge comunque il report, devono restare una misura temporanea, per gestire l’emergenza. Per creare nuova occupazione occorre invece fare leva su formazione e riqualificazione professionale. Tanto più che la recessione ha accelerato tendenze pre-esistenti, come automazione e digitalizzazione.

Secondo i calcoli dell’Ocse, alla fine del 2020 circa 22 milioni di posti di lavoro sono svaniti nei Paesi dell’area, rispetto al 2019. Nel mondo, il conto sale a 114 milioni. A maggio del 2021, il tasso di disoccupazione nell’Ocse era del 6,6%, con 8 milioni di disoccupati in più rispetto al periodo pre-pandemia. La recessione da Covid ha lasciato anche 14 milioni di persone inattive in più. Nel marzo 2021 le ore lavorate erano ancora del 7% in meno rispetto a dicembre del 2019, nei dieci Paesi in cui sono disponibili i dati, in recupero rispetto al -15% del secondo trimestre 2020.

Le proiezioni indicano che il livello di disoccupazione Ocse scenderà di un altro punto per la fine del 2022, al 5,7%, ma gran parte dei Paesi dell’area registrerà ancora un tasso superiore ai livelli pre-crisi.

Giovani, donne, lavoratori poco qualificati e precari sono stati colpiti in modo sproporzionato: le ore lavorate sono diminuite del 28% nelle occupazioni a bassa retribuzione, 18 punti in più rispetto a quanto accaduto per gli impieghi ben pagati. Tra le persone poco istruite, l’impatto è stato di quasi tre volte superiore rispetto ai lavoratori con istruzione elevata. Dopo un decennio di flessione, è aumentato il numero dei giovani che non sono né a scuola, né al lavoro o in formazione. Un segnale allarmante, perché chi è uscito dal circuito formazione-lavoro rischia il tunnel della disoccupazione di lungo periodo.

Le disparità emergono anche nel lavoro da remoto: i dipendenti in smart-working sono aumentati dal 16 al 37% nei Paesi Ocse, salvando imprese e posti di lavoro. Solo il 19% dei lavoratori con istruzione bassa vi hanno però fatto ricorso, contro il 55% di quelli con istruzione elevata.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©